Una decina di anni fa ci ho portato su Jacopo che aveva 10 anni ed è il mio cuginetto, per fargli trascorrere un paio di giorni tra le montagne con me. Per lui si trattava della “prima”: prima vera camminata in montagna, prima notte fuori casa senza genitori, prima volta e prima notte in rifugio.
Sui primi metri del sentiero, quante volte li ho fatti e quanti anni, non riesco a credere che due passi dietro a me ci sia Jacopo. Chissà cosa pensa, qui per lui è tutto nuovo. Guarda in giro e mi fa tante domande, cerco di rispondergli in modo da fargli capire quanto amo questi posti, penso sia una specie di investimento per il futuro.
Nel vallone Ronchelli ecco il momento topico: il rifugio Andolla si vede per la prima volta, lontano lassù. Ci fermiamo, lo faccio vedere a Jacopo e insieme lo salutiamo. Non ho mai tralasciato di fare questo cerimoniale.
Sulla pietraia finale il rifugio è lì che sembra di toccarlo, si cammina su grossi sassoni che ogni tanto si muovono e fanno quel “clac” caratteristico che adoro.
«Ci siamo Jacopo! guarda che bel rifugione, vedrai come staremo bene qui per due giorni!»
«C’è anche un’altalena!»
In realtà è il traliccetto giallo dell’arrivo della teleferica di servizio, ma da qui lo si può confondere benissimo con un’altalena. Beato lui che vede moltissime cose con la fantasia e col gioco.
L’estate scorsa, quella del Covid-19, sono salito la prima volta a metà luglio. Tra mascherine, gel, percorsi obbligati, dico la verità, non mi è piaciuto molto. Marco era molto indaffarato per garantire il rispetto delle prescrizioni di sicurezza, abbiamo avuto poco tempo per parlare. E poi c’era qualcos’altro, una specie di sensazione negativa che aleggiava sopra ogni cosa. Boh, sarà questa nuova situazione dovuta alla pandemia, mi sono detto.
A metà pomeriggio sono sceso e sono passato a salutare Norena, sua moglie, in negozio a Villadossola.
La bordata è arrivata. Ultima stagione, dopo trentadue estati lassù. Lo molliamo, il tempo passa.
Marco forse non ha avuto il coraggio di dirmelo. Ecco cos’era la sensazione negativa.
Sono sicuro che questa decisione scaturisce in parte anche dal fatto che nella primavera del 2019 è stata smantellata la teleferica di servizio, che costituiva il cordone ombelicale del rifugio rendendolo indipendente da elicotteri o altro e permettendone contenuti costi d’esercizio. L’impianto era in servizio solo da quarantasette anni (c’era ancora il rifugio vecchio), sempre mantenuto in perfetta efficienza. Non dico nulla sul motivo della rimozione, nessuna questione di usura materiali o simili. C’entrano persone e la chiudo qui.
Esco dal negozio ed è la fine di un’epoca.
Dal prossimo anno non sentirò più il “Pronto Rifugio Andolla” di Marco quando telefonerò su. Ed immagino quasi con terrore come sarà l’ultima volta, tra due mesi. L’ultima firma sul libro, l’ultimo giro di chiave, il distacco definitivo da quella sala da pranzo, quella cucina, quelle stanze. Da quei piccoli segreti che solo il gestore sa. L’ultimo sguardo. Tento di capire come saranno i loro pensieri sapendo che molto probabilmente non torneranno più all’Andolla, non vedranno più i panorami che si vedono da quelle finestre, lasciano il posto che ha occupato una parte fondamentale delle loro vite, perché trentadue stagioni vogliono dire qualcosa.
Certo prima o poi doveva succedere, nulla è per sempre e ci sono cose ben peggiori di un gestore che lascia un rifugio di montagna, cerchiamo di rimanere normali (sì, certo) e non drammatizziamo. Ma io sono un vecchio romanticone sentimentale e mi attacco alle situazioni che mi piacciono, voglio loro bene. L’Andolla è una di quelle.
Realizzo che uno dei punti fermi della mia vita cambierà, e che senza saperlo ho sempre considerato Marco ed il rifugio Andolla la stessa cosa. Lui è il rifugio, e solo uno come lui poteva resistere trentadue stagioni, perché fare il custode all’Andolla non è come farlo da un’altra parte, lassù l’isolamento è maggiore, come le difficoltà. Mi chiedo se qualcuno prenderà la gestione del rifugio, pensando con sgomento che se nessuno sostituirà Marco andrà perduto tutto l’immenso e meraviglioso lavoro fatto dai volontari del Cai di Villadossola e questo sarebbe un peccato imperdonabile.
Arrivare lassù come questa metà di luglio e vedere il rifugio chiuso. Sbarrato.
Aspettavo la domanda, che infatti è arrivata, dentro di me.
Tornerò al rifugio Andolla?
Il traliccetto giallo è stato segato alla base, caro Jacopo.
C’era anche un’altalena.
La prossima sarà una nuova stagione per l’Andolla, ed anche per me.
Sinceramente, non so cosa succederà.
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foto:
1. “emozione dell’arrivo” .
2. “e là dietro s’avanzano grandi montagne” .
3. “come un galeone coi vessilli al vento, tra le prime brume d’autunno il Rifugio Andolla naviga verso l’ennesimo inverno, che trascorrerà in solitaria , finalmente lontano dagli uomini, con sola compagnia di neve e gelo, tormente e cieli di cristallo”.