L’imperativo è scendere un passo dopo l’altro con calma e prudenza, la nebbia bassa si confonde con la neve, piantiamo la piccozza e ci buttiamo a terra ad ogni raffica di vento, cerchiamo di stare calmi e di non perdere le staffe. Procediamo molto lentamente, con la massima concentrazione, se uno di noi scivola trascina giù anche gli altri, non possiamo sbagliare.
Poi, piano piano la pendenza si riduce, la cresta si allarga e si fa più arrotondata, la nebbia si alza un po’ e finalmente arriviamo alla Vallot. Cominciamo a pensare positivo, più scendiamo e più ci sentiamo salvi, l’incubo di non riuscire si affievolisce, la traccia si fa più evidente, la visibilità aumenta, la discesa è ancora lunga ma i timori hanno lasciato il posto alla speranza, un profondo sentimento di gratitudine ci pervade, il peggio è passato.
L’adrenalina sale nuovamente lungo il Gran Couloir sotto al Goûter, un canalone molto pericoloso per le frequenti ed improvvise scariche di sassi e detriti che scende parallelo al sentiero, si sentono e si vedono massi che rimbalzano come fossero noccioline, e giù in fondo dovremo attraversare proprio questo canale, quando la montagna è ferma e silenziosa partiamo uno alla volta e … preghiamo … uno due tre, siamo passati, grazie.
Il Monte Bianco… l’avevo sempre pensato come un sogno, una meta irraggiungibile, una fantasia, in realtà è stato molto di più e soprattutto è stato un’impresa straordinaria di entusiasmo speranza incertezza tensione e di profonda gratitudine perché è riuscita, siamo andati e tornati sani e salvi, grazie.
Chi non risica non rosica, è questo che cerco in montagna? Questo e molto altro ancora.