Mentre scendevamo attraverso quell’elegante e brutale selva di vecchi mastodontici faggi ci sentivamo pacificati, riconciliati. Il buio era calato da un po’ e mentre camminavamo verso valle non avevamo bisogno di scambiarci parole sullo straordinario evento che ci era capitato solo un’ora prima. L’impresa era stata compiuta: avevamo cercato lupi liberi in uno degli ambienti più inospitali ed estremi dell’Appennino e ce l’avevamo fatta: li avevamo visti!
Quel fugace avvistamento fu sufficiente a spazzare via settimane di fatiche e umiliazioni che i lupi ci avevano più volte inferto, non mostrandosi o defecando non lontano dal nostro accampamento. Tracce che stavano lì a ricordarci quanto noi fossimo solo degli insoliti ospiti nel loro ambiente, e loro i padroni assoluti.
Due notti prima eravamo in balia della natura selvaggia. La tenda era sferzata da un vento fortissimo. Sentivamo il frastuono dei rami che in quegli attimi si spezzavano non lontano da noi. Avevamo il timore che un grosso ramo di quei faggi vetusti ci si schiantasse addosso. Come in un racconto di Jack London, al vento si aggiunse il nevischio. Poi li sentimmo. Gli ululati si levarono dalle tenebre, lugubri e feroci, confondendosi con i fischi del vento. Ululati di richiamo e di risposta, famelici, lamentosi.
La mattina seguente, le orme dei lupi sulla neve attorno al nostro accampamento dimostravano inequivocabilmente che mentre noi uomini civilizzati eravamo impauriti e infreddoliti all’interno della nostra piccola tenda, loro erano a proprio agio: giocando, sdraiandosi e inseguendosi! Là fuori, nei luoghi estremi.