Recensione

CINQUE LIBRI (+1) PER L’ESTATE’20 #2

Si conclude la cinquina delle nostre proposte di buone letture per l'estate con una sorpresa: un libro in più. Sei libri come il Premio Strega.

testo di Davide Torri

08/07/2020
10 min
Anche se il Covid ci ha sorpreso con l’immediato (quanto breve) ritorno in città della natura non più addomesticata con meduse, lupi e daini che

si affacciavano dalle nostre finestre, il concetto di Natura Selvaggia è ai più poco chiaro (o ha una interpretazione, a dir poco, personalizzata). Quindi la lettura di questa preziosa traduzione dei saggi del barbuto scozzese/americano è fortemente consigliata contro il logorio della vita moderna[1]. E, se ancora vi mancasse qualche altra indicazione su cosa vuol dire (soprav)vivere tra la Natura Selvaggia, chiude la cinquina estiva un libro che unisce il freddo intenso e la lava bollente (per tacere di una storia complicata di tradimento, omicidio e redenzione). Come sempre le note a piè pagina hanno il loro valore. E infine una sorpresa che troverete se leggerete fino in fondo.

ANDARE IN MONTAGNA È TORNARE A CASA
Crescere all’università del Wilderness

Siamo così protetti ed impacchettati che, per non farci del male, ci portate via anche l’autobus di Mccandless.
Anche questa volta però la coraggiosa Piano B edizioni ci viene in aiuto con Andare in montagna è tornare a casa. Saggi sulla natura selvaggia di John Muir proposto nella traduzione attenta, emozionale e filologica di Caterina Bernardini[2]. Una occasione preziosa per scoprire il bis-nonno di Greenpeace. Saggi che si leggono come racconti di avventure tra ghiacciai mai esplorati, alte pareti di granito e boschi pieni di animali selvatici, saggi che ci insegnano a guardare la natura[3].

Se esiste un santo, beato nella vita e santificato poi, se esiste un santo a cui affidare monti, ghiacciai, sentieri, piante, animali, golfi, passi e colli di montagna, spiagge, parchi, cascate, pascoli, colline, deserti, brughiere, tempeste, nubi e venti nei boschi quello è John Muir. Un uomo che ha combattuto molte battaglie per la natura, vincendone alcune e subendo frustranti sconfitte.
John Muir cammina sugli stessi sentieri esistenziali di (altri) giganti come Henry David Thoreau[4]  e Ralph Waldo Emerson. Muir, però, a differenza di Thoreau riesce a fare, con il proprio eremitaggio un’azione politica e lobbistica a favore della natura selvaggia a cui il waldering di Concordia non giungerà.

Ci viene raccontato che il mondo fu creato appositamente per l’uomo -una congettura non corroborata dai fatti.

Ne Il posto dell’uomo nell’universo, saggio pubblicato dopo la sua morte e presente in Andare in montagna è tornare a casa[5]  Muir ha un’idea chiara e molto attuale dell’obiettivo della Natura che non è quello di creare tutti gli esseri viventi per la felicità di uno solo e come il profeta Geremia, non trovando neppure un giusto tra le cupole del Mammouth Mountains, si convince che

“più di ogni altra cosa al mondo è l’umanità a necessitare di venir bruciata, poiché è in gran parte malvagia (…)”

Muir è propugnatore di un alpinismo ciabattone, eroico, solitario, fatto di scarponi di ferro, pane e tè, dove si sale, senza corde, a carponi o strisciando sulla schiena le grandi placche di granito del Ritter; un esploratore del verticale che si fa guidare, nel pericolo, dall’Angelo Custode[6] ma che riconosce i metodi che la Natura usa per creare i paesaggi, quelli del passato e quelli che ancora dovranno venire.
In Andare in montagna è tornare a casa riconosciamo al barbuto John Muir la paternità del movimento green mondiale ma anche una certa superficialità/troppa confidenza con la Natura selvaggia tutta. Familiarità che lo porta, cento anni prima di Timothy Treadwell[7], ad affrontare un orso diventando, suo malgrado, un cattivo esempio per chi, diversamente dal santone con il velluto a coste,  decide di immergersi nella natura selvaggia senza essere, lui stesso, abbastanza selvaggio.

“… mentre spingeva il muso affilato in avanti, curioso, con la pelliccia lunga e arruffata sull’ampio petto, (…) decisi stupidamente di provare a sorprenderlo. Così sollevai in aria le braccia e gridai per spaventarlo (…)”

Uno che si costruisce delle cabane per stare in mezzo ad un bosco e corre fuori dalla stessa per salire sopra un Douglas per godersi una tempesta, uno che fa il custode in uno dei primi alberghi in Yosemite[8] e molla tutto per gridare entusiasta “Un terremoto, un nobile terremoto” apparirebbe oggi un pochino sfuocato ma non per il mondo in cui Muir viveva, il mondo descritto da Jack London, egli non poteva che essere considerato come il propugnatore di una religione, quella della Natura Selvaggia, che diventerà proprio sul finire del XIX la colonna vertebrale dell’America dei Grandi Spazi e delle Grandi Contraddizioni.

“… e che salmo cantava la tempesta (…) attraverso il bosco giungevano folate e mulinelli di vento, assieme alla musica delle foglie  e dei rami e dei tronchi e persino delle rocce frantumate e ghiacciate sopra di noi.”
_____

[1] https://www.youtube.com/watch?v=TeTF1dW3yn8

[2] Affidare la traduzione di un testo importante come questo ad una persona capace significa voler dare il giusto valore agli scritti  core.ac.uk/download/pdf/55281931.pdf

[3] Muir, uno che ci fa un baffo all’infanzia infelice di Copperfield, ad un certo punto della sua vita diventa anche cieco e, come il miracolato del Vangelo di Giovanni, riacquista nuovamente la vista proprio per vedere la Natura Selvaggia.

[4] Ovviamente se si parla di conservazione e protezione della Natura, il XIX secolo è dominato da due giganti: Henry David Thoreau (1817-1862) e John Muir (1838-1914) scrittori influenti proprio per la loro diretta esperienza nei luoghi selvaggi, aprendo una visione non antropocentrica della Natura e, il secondo più del primo, avviando una sensibilità ecologica (o almeno protoecologica), A Thoreau va riconosciuto il ruolo di primo e assoluto scrittore della Natura e dei luoghi selvaggi (influenzando anche Muir) ma è proprio Muir ad aver ottenuto, con il proprio esempio “sul campo” e i propri scritti, risultati migliori in termini di sensibilizzazione verso la Natura selvaggia, contribuendo alla creazione del National Park System e alla creazione, nel maggio del 1882, del Sierra Club, primo Club “verde” mondiale. Muir ha saputo presentare le proprie esplorazioni, e “Andare in montagna è tornare a casa” ne è un chiaro esempio, come vita vissuta consapevolmente vicino alla Natura Selvaggia.

[5] A me sarebbe piaciuto anche andare in montagna è come tornare a casa, direttamente dal testo di Muir con un sentimento meno drammatico e più familiare del titolo scelto.

[6] Esperto massimo e primo sostenitore dell’Angelo Custode, dall’altra parte dell’Oceano e, più o meno nello stesso tempo fu San Giovanni Bosco (1815-1888) www.donboscosanto.eu/download_orig/Don_Bosco-Il_Divoto_dell’Angelo_Custode-i.pdf

[7] www.youtube.com/watch?v=OYuvAEzLVak

[8] csl.primo.exlibrisgroup.com/view/delivery/01CSL_INST/12136776840005115

ANDARE IN MONTAGNA È TORNARE A CASA

Autore: John Muir
Traduttore: Caterina Bernardini

Editore: Piano B, 2020
Pagine: 220
Prezzo di copertina: € 15,00

Piano B

Nevada Falls and Liberty Cap from John Muir Trail - Yosemite National Park
John Muir Trail - Yosemite National Park

JÓN & LE MISSIVE CHE SCRISSE ALLA MOGLIE INCINTA MENTRE SVERNAVA IN UNA GROTTA & PREPARAVA IL DI LEI AVVENTO & DEI NUOVI TEMPI
Sotto il Vulcano

In un colpo solo noi che amiamo l’Islanda scopriamo, dentro un libro che andrebbe acquistato anche per la splendida copertina, una storia d’amore universale e un disastro vulcanico che fa sembrare una piccola puzzetta l’eruzione dell’Eyjajoll del 2010: il titolo è Jón & le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta & preparava il di lei avvento & dei nuovi tempi di Ófeigur Sigurðsson (Premio Europeo per la Letteratura è pubblicato in Italia da Safarà Editore che ha affidato la traduzione ad una delle migliori in campo: Silvia Cosimini[9]).

In breve: Jon Steingrimsson[10] deve scappare dallo Skagafjörður, nel nord dell’isola perché incolpato di farsela con la bella Þorunn, lasciata incinta e con il marito di lei, morto stecchito. Se ne fa una ragione e, mentre a Lisbona dà sfogo il Grande Terremoto del 1775, attraversa con il fratello Þorsteinn, da nord a sud, l’Islanda infuocata dal Katla (ovvio, un altro vulcano) per attrezzare e vivere in una profonda grotta davanti al mare nella terra di Mýrdalur. Grotta che diventa da subito luogo di pellegrinaggio e incontro di personaggi (veri? inventati? poco importa) che rappresentano una rivoluzione politica, sociale e culturale che di certo era ancora in divenire e, dopo qualche tempo, ospedale, centro sociale, luogo di protezione per i perseguitati. Nella grotta entrano, come nel teatro di figura, lo sceriffo Skùli, Skúli Magnússon, fondatore della città di Reykjavík, un tizio orgoglioso ed intelligente che non si toglie mai gli stivali e che, ogni due mesi, si prende un mese di ubriacatura colossale; Eggert  e Bjarni il physicus generale, Dolce e Gabbana in pelliccia di renna, illuministi, chimici, ornitologi, Re Magi che girano con attrezzi che lustrano e aggiustano continuamente a spese dei contribuenti[11]: barometrum, thermometrum, horologium, hidrometrum, astrolabium, anemometrum, e, su tutto l’invenzione dei troll, opera del demonio, una grande trivella, benedetta e battezzata Triti; il contadino violinista Einar, inventore del cinema che, con il figlio Jon[12], attraversa altopiani infuocati alla guida un sabioforo, una barca bianca su ruote. Jon detto Fagotto monaco bambino, tritone, mostro malvagio e spione.

La raccolta di missive di Jon mantiene grazie a Sigurðsson un caleidoscopio[13] immaginifico di parole, storie, luoghi e avventure che come l’Islanda, terra di acqua ghiacciata e bollente, miscelano prosa e poesia, discorsi metafisici e scazzottate che durano notti intere, filosofia, teologia, medicina e rimedi naturali come la cetraria islandica della Víðidalur che bollita nel latte di un ovino di prima scelta di Frostastaðir rende gli uomini così prolifici che una donna si ingravida anche solo con una smorfia. Si impara anche a nuotare[14] grazie al Bjarni il physicus generale: attività che riscuote successo più di ogni altra proposta da E&B almeno per due motivi: al corso partecipano le donne, tra cui la Petronella di Àstùn vergine e vedova e, per galleggiare, gli apprendisti si appendono a barilotti da cinque litri di brennivìn che devono essere svuotati sul posto. Perché l’attività fisica fa parte della cultura ma la cultura non è possibile praticarla come fosse uno sport.

E la mogliera, infine, raggiungerà il Pastore del Fuoco come una visione mistica, accolta dai lebbrosi che cantando il Credo ritornano sani, accompagnata da un battaglione che si fa strada tra le nubi verdi, lei, la bella Þorunn, dono del Signore/mia sposa/con le nostre figliolette.

O forse no, forse è solo un’altro dei sogni di Jon.
_____

[9] A Silvia Cosimini dobbiamo la versione italiana di alcuni dei romanzi di Jón Kalman Stefánsson, come la sua intera Trilogia del Ragazzo (che prende l’avvio con lo splendido Paradiso e Inferno). Va però detto che anche il lettore di Jon farà il suo bel lavoro, se non di traduzione, almeno di dizione che alcune parole anche se scritte resteranno un esercizio di pronuncia non così immediato.

[10] Il (vero) reverendo Jón Steingrímsson divenne una figura leggendaria tra gli islandesi per le sue azioni durante e dopo l’eruzione del vulcano Laki. Si credeva che avesse compiuto un miracolo una fatidica domenica di luglio del 1783 nella chiesa di Kirkjubæjarklaustur. Quel giorno un ramo del flusso di lava minacciò di distruggere la chiesa ma il reverendo Jón decise comunque di celebrare comunque la messa (fosse anche l’ultima!). Durante la sua predica, grazie a preghiere appassionate e chiamate a Dio, il ramo di lava si fermò davanti alla porta e la chiesa fu salvata. Da allora questa messa è stata conosciuta come Eldmessa/la Messa del Fuoco e il reverendo Jón Steingrímsson come Pastore del Fuoco.

[11] In tutto il paese girano dicerie e ingiurie sulle loro spedizioni di ricerca, i due compagni vengono sovente accolti con indifferenza, nobili e pezzenti ciarlano sull’inutilità di quei loro viaggi, sul fatto che quel re di carabattole sprechi tanto denaro per questi giovani invece di destinare più farina di segale al nostro paese dove la gente muore di fame mentre E&B s’intascano stipendi co’ fiocchi.

[12] Il nome Jon, oltre al protagonista il libro, appartiene ad un’altra quindicina e più di personaggi. Morto stecchito compreso.

[13] Prendiamo ad esempio la parola vulcano, chiamato vesuvius, ma anche etna, vulcanus, hekla, ignovomus mons e eldfjall.

[14] Fino al secolo scorso gran parte dei pescatori islandesi non sapeva nuotare, perché la salvezza del naufrago non consiste nel saper nuotare ma nell’obbedienza, nella sottomissione, nella rassegnazione totale al mare.

[15] Deuteronomio 25:5-10.

Jón & le missive che scrisse alla moglie incinta mentre…

Autore: Ófeigur Sigurðsson Traduzione: Silvia Cosimini
Editore:  Safarà Editore
Pagine: 208
Prezzo di copertina: € 18,00

Safarà Editore

Islanda
Ófeigur Sigurðsson

NON ESISTONO POSTI LONTANI
Sì, viaggiare (non evitando le buche più dure)

Come il Premio Strega, e con le rispettose proporzioni, anche noi decidiamo di trasformare la cinquina di titoli aggiungendone, a sorpresa, un sesto. 

Si tratta del nuovo romanzo di nostro fratello saggio Franco Faggiani che, anche questa volta ha costruito su personaggi tanto improbabili quanto possibili un piccolo gioiello da leggere in un fiato. Non esistono posti lontani. Ancora in tandem con l’elegante casa editrice Fazi. Un libro che deve stare nel nostro zaino perché può darci, in qualsiasi momento, buoni consigli per i nostri viaggi alla scoperta di luoghi non comuni.

Siamo nell’ultimo e drammatico periodo della seconda guerra mondiale e tra nazisti, repubblichini, partigiani, cialtroni, contadini, santi[15] e donne fatali viene fuori la storia di Filippo Maria Cavalcanti, bel nome da finocchio, romano di Roma, 72 anni, archeologo eccellente famoso per i suoi scavi e per la scoperta del sarcofago del bambino che gioca con le nuvole ma messo, lui non il sarcofago, in un polveroso sottoscala del ministero per la sua evidente avversione al fascismo.

Verrà mandato a Bressanone, quasi un’altra punizione, per accompagnare al di là del confine, oltre al suo bambino, quadri, sculture e altre preziose mercanzie e ufficializzare uno dei numerosi furti d’opere d’arte che da sempre accadono in tempo di guerra. Lassù si farà avanti in modo rocambolesco Quintino Aragonese, meccanico, comunista e napoletano di Chiaia, che, con le sue sorelle e Donna Vittoria, potrebbe essere protagonista anche in una commedia di Emma Dante. I due sapranno sorprendersi uno con l’altro ma anche sorprenderci in un viaggio epico e picaresco. A bordo di un vecchio camion taroccato e colmo di quelle opere che avrebbero dovuto sparire oltre le Alpi attraverseranno invece l’intera Italia bruciata dagli ultimi e terribili fuochi della guerra da nord a sud.

Mettetevi comodi e aprite una vecchia cartina dello stivale, presa magari dal magazzino di una scuola[16] e seguite i due nel loro viaggio: Bressanone; Bolzano; Merano; Glorenza; Munstair (Svizzera); Zernez; Zuoz (Albula Pass); Thusis; Splugen; San Bernardino; Bellinzona; Locarno; Brissago; Canobbio (Italia); Gravellona Toce; Borgomanero; Vercelli (periferia est); Mezzana Bigli (attraversamento del Po); Codevilla; Montesegale; Zavattarello; Romagnese (salita al Monte Penice); Bobbio; Borgo val di Taro; Pontremoli; Fivizzano; Castelnuovo Garfagnana; San Marcello Pistoiese; Castiglione dei Pepoli; Passo della Futa; Borgo San Lorenzo; Dicomano; Camaldoli; Passo dei Mandrioli; Cagli; Cantiano; Fonte Avellana; Fabriano; Pantaneto; Monti Sibillini; Cascia; Leonessa; Città Ducale; Rocca Sinibalda; Pozzaglia; Tivoli; Roma e, ancora Pozzaglia; Vivaro Romano; Livata; Subiaco; Fiuggi; Frosinone; Terracina; Formia; Chiaia/ Punta Caruso (Isola d’Ischia).

Non pochi posti da mettere in duecentottantotto pagine ma non è una Guida del Touring perché dentro questo Giro d’Italia si nascondono tematiche che solo uno scrittore dal sorriso sincero come Franco Faggiani può permettersi di inserire senza che il camion di Quintino rotoli giù da qualche scarpata appenninica.
Ad esempio il contrasto forte tra perdono e vendetta, tra far pagare le violenze subite o pregare per le stesse: e quando i nostri due, più per fortuna che per abilità, riusciranno a sfuggire la malasorte, non resterà che decidere da quale parte stare. E non sarà semplice.

Voi la croce dovete spaccargliela sulla testa a quelli, non segnarvela addosso (…) Voi dovete reagire, pensare alle persone quando sono vive e non pregare per le loro anime quando sono morte , ché non gli serve a niente!”.

O la bella riflessione di Quintino sull’essere sempre capaci di non chiudere mai a chiave il cassetto che contiene il nostro coraggio perché può servire in ogni momento e a qualsiasi età; anzi da vecchi serve assai.

Ancora Filippo ci insegna quanto siamo importanti le piccole cose, il tempo piccolo, quello dove prendiamo decisioni che sembrano ininfluenti ma che potranno cambiare il destino.[17]

“Il tempo che basta a dire un si o un no (…) resto oppure parto, l’abbraccio o me ne vado.”

Il viaggio di Quintino e Filippo è un viaggio di avvicinamento ad un sogno ed un reciproco donare tra il vecchio professore e il quagliò ischiano. E quando poi i due arriveranno finalmente a baita Franco ci regalerà proprio quello che avremmo voluto leggere in fondo a questo romanzo lieve.

“Ma voi vi ricordate da quanto tempo siamo in viaggio, che giorno è oggi?
Non ne ho la minima idea e neanche mi importa di saperlo. È così bello e selvaggio che arrivare non mi interessa quasi più.”

Perché noi, noi che viaggiamo anche attraverso le pagine dei libri sappiamo che non ci sono posti lontani.
Buona estate.
_____

[15] San Giovanni Nepucemo (più volte) San Giovan Giuseppe della Croce, patrono di Ischia, San Colombano e San Romualdo più qualche santo laico e di altre religioni.

[16] Franco Faggiani, rispondendo alla sua personale leggenda di “giornalista a piedi libero” percorrerà anche lui stesso il Gran Tour, in più tempo e con persone a cui vuol bene.

[17] Già il Vecchio Testamento con l’Ecclesiaste ci aveva detto qualcosa ma, superando anche i concetti di fisica moderna, Faggiani sostiene come il tempo piccolo sia fondamentale perché non bisogna mai lasciare il tempo privo di azioni o di pensieri. Mai, nemmeno nei pochi istanti che ci separano dalla morte.

Non esistono posti lontani

Autore: Franco Faggiani
Editore: Fazi Editore, 2020
Pagine: 250
Prezzo di copertina: € 18,00

Fazi Editore

Castello di Bardi (Parma)
Franco Faggiani con sua moglie Manuela

La foto di copertina è di Davide Torri

Davide Torri

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


Il mio blog | Scrivo su altitudini.it da molto tempo. Mi piace starci perché, nonostante sia virtuale, è un luogo dove la concretezza delle persone e delle montagne è sempre lì: da toccare.
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