«Scusa, vivete in tende, vi spostate ogni tre mesi, cacate in grosse buche nel terreno, allevate animali e passate la maggior parte del tempo a guardare le vostre bestie e a cercare di sopravvivere. Esattamente dove trovi finito il vostro medioevo?»
«Beh, adesso abbiamo le moto e le macchine; a Ulan Bator sono quasi tutte elettriche.»
In Mongolia mia moglie ed io abbiamo trascorso diciassette giorni muovendoci su un grosso fuoristrada guidato da Turù, ascoltando con interesse quello che Biambà ci raccontava rispetto gli usi e costumi del posto e insegnandoci la storia locale.
Abbiamo mangiato pecora e capra (non agnello e capretto) cinquantuno volte, abbiamo dormito in tende costruite in mezzo al mare d’erba, abbiamo guadato fiumi, siamo finiti fuori strada, abbiamo visto rettili, mammiferi e uccelli quanti mai prima in vita, abbiamo parlato coi lama dei monasteri, abbiamo girato attorno agli ovoo e abbiamo capito perché anche i cani là son coperti di kashmir.
Alla sera, con le nostre guide giocavamo ad “ossa”, un gioco tradizionale che si fa lanciando sul tavolo le ossa dei calcagni delle bestie macellate. Si fanno punti a seconda della posizione in cui cade l’osso. A “ossa” ci giocava pure Chinggis Khaan 800 anni fa. I mongoli ci giocano ogni sera con l’entusiasmo che credo ci mettesse il tipo che il gioco lo inventò per far qualcosa mentre fuori dalla sua ger la temperatura cadeva a meno quaranta gradi sotto zero.
In Mongolia il nero non esiste, sono neri solo i fuoristrada
Uno dei colori più rappresentativi di quella terra è il bianco; simboleggia il latte, quindi il nutrimento, tanto per le persone che per gli animali. Quando entri in una ger ti offrono latte di cavalla fermentato, quando te ne vai da una ger la signora di casa sparge del latte dietro di te perché il viaggio vada bene. Le yurta stesse sono bianche, ma se chiedi loro se è perché è il colore del nutrimento e del legame familiare ti dicono: “No. É perché sono bianche”.
In Mongolia il nero non esiste, sono neri solo i fuoristrada, e nemmeno tutti. Gli altri colori indispensabili per i mongoli sono il verde dell’erba, la terra e quindi la madre; il blu del cielo, il padre; il giallo, il legame tra maestri e discepoli, e infine il rosso che rappresenta la forza e la lotta.
Lo sguardo del viaggiatore rimbalza di continuo tra l’assai vicino, il lontano e l’incredibilmente lontano. È strano guardare sotto i propri piedi e trovare un frammento di fluorite, alzare lo sguardo e trovarsi davanti una pecora, guardare dietro la pecora e vedere un deserto di terra rossa, aguzzare la vista e scorgere piccole tende in lontananza, andare poi ancora oltre e capire che il deserto arriva anche in fondo là e poi ancora.
«Ma è deserto anche quello là in fondo in fondo?»
«Eh, acqua non può essere, sicuro.»