Quando penso: “macacchio, sonoinchiodataaterra”, mi guardo sotto la cintola e vedo una grossa coscia farsi largo contro la forza di gravità, seguita faticosamente a ritmo dall’altra. Quasi il dorso di un cetaceo che affiora. Però cammino. Ho sempre camminato. Più che altro scappavo. Soprattutto di notte, da sola e con la musica in cuffia. Come i matti veri. Su e giù per le ripide di pietra nera della mia città portuale. Tutta la notte fino allo sfinimento.
Adesso che tutti camminano nei parchi di quest’altra città, faccio finta di essere una che si prende cura del suo aspetto fisico. Molto ironico. Mi mimetizzo tra la gente normale che fa jogging (ma lo jogging forse non è più normale). Quando incontri quegli altri in tuta nei tracciati cittadini del jogging, non c’è nemmeno uno sguardo. Facciamo tutti ugualmente parte dello stesso paesaggio. Ho una predilezione per i maschi cinesi. Le donne lavorano a coreografie leggiadre con abiti identici nelle radure. A manciate di 5-10 unità. Sono dentro una specie di bolla inaccessibile e invisibile. Ma aldilà di quel vetro immaginario, credo che sappiano l’invidia che proviamo noi donne occidentali e quanto vorremmo ballare con loro e avere delle amiche per farlo come loro e portare quei fuseaux fucsia senza sembrare delle elefantine come loro.
Il maschio cinese del jogging invece è solitario. Magari dà le spalle al sentiero, però sta piazzato lì in mezzo, legittimamente e dignitosamente alla luce del sole, e fa movimenti stranissimi. Tipo il gesto della gallina con le braccia piegate e le mani sotto le ascelle, oppure un movimento d’anca destra-sinistra-avanti-dietro, ostinato e pervicacemente asessuato. La sua è una solitudine pubblica. Mi ci riconosco. Però il maschio cinese non ha la mia pesantezza. Non gliela vedo.
Ad essere sincera ci sono stati altri momenti della vita in cui la bilancia ha segnato cifre vicine a quelle di oggi. Non è quello che pesa davvero. E’ una questione di parole. Sono le parole che mi porto addosso a pesare. Quando camminavo di notte come i matti, c’erano parole epiche o magari romantiche dentro la mia testa. Romantiche nel senso ottocentesco. Era quello il ritmo al quale muovevo il mio corpo nello spazio della città, sfilando davanti alle palpebre socchiuse delle persiane. Oggi sfilo davanti agli occhi aperti del giorno che però non vedono niente. E mi porto dietro un sacco pieno di parole pesanti.
Ma ho trovato un modo per fregarle. Funziona così: le scarpe ai piedi e le cuffie in testa. Signore cuffie, che costano più delle scarpe. E dentro le cuffie i podcast. Le parole degli altri. Allora sì, qualche volta riesco a perdere anche 10, magari 15 chili. In 40 minuti.
La migliore pubblicità mai letta per avvicinare il lettore al fantastico mondo dei podcast. Complimenti.