PRIMO GIORNO
Mi sveglio, faccio colazione, sistemo le ultime cose e anche se fuori fa fresco e c’è la nebbia indosso i pantaloncini corti e parto da casa da Fornase city ⁽¹⁾.
Dopo due ore e mezza di noia padana finalmente sono ai piedi del primo sentiero. Come previsto sono circa 8 km e 1000 metri di dislivello dove non c’è altro da fare che spingere, di gambe e braccia, la bici lungo il ripido e tortuoso track da enduro. In cima finalmente monto in sella e pedalo un po’ su sterrato e un po’ su asfalto fino ad entrare nel bosco attraverso una strada forestale. Il fondo, sdruccioloso e pietroso, non è un problema per la mia Exploro. I pneumatici Ikon da 27.5 per 2.2, gonfiati a 1.5 bar, vanno che è una meraviglia. Il sentiero da sterrato diventa innevato appena mi sposto sul versante nord, ma anche su ghiaccio e neve per ora si riesce ad andare avanti.
Sentieri innevati
Dopo la prima strada forestale vado a prenderne una seconda che mi porta a toccare quota 1500 m. Qui mi imbatto nella prima insidia che sarà una costante dei chilometri successivi: la neve. Una neve brutta, ghiacciata e cedevole, tanto che quando ti pianti e molli la bici, rimane ferma come una statua, perfetta per essere fotografata.
Comincio la mia bianca avventura, scendo per una piccola gola, riesco a stare in sella con un piede sganciato ma poco dopo la consistenza della neve cambia e sono costretto a spingere. Affondo nella neve fino a metà stinco ma non soffro il freddo ai piedi. Le scarpe Giro Empire in pelle, prive di imbottiture, mi lasciano una perfetta circolazione del sangue, fondamentale contro il freddo e sono sufficientemente impermeabili.
Di tanto in tanto trovo le tracce lasciate dal battistrada di qualche veicolo fuoristrada, lungo di esse non c’è neve ma il fondo è ghiacciato, così aggancio un piede ad un pedale e senza sedermi in sella uso l’altro piede come “freno-spazzaneve”, piantandolo nella neve al lato del solco ghiacciato. In base alle curve, a destra o sinistra, scancio un piede per agganciare l’altro. Pinzare, soprattutto il freno anteriore, è fuori discussione. Il tutto mi diverte, ma puntualmente devo ritornare a spingere.
Le vittime della tempesta
La strada forestale cambia versante, la neve non c’è più e ritorno a pedalare, ma dopo un paio di chilometri trovo le vittime della tempesta dello scorso anno. Da qui in avanti devo superare ventotto abeti caduti di traverso sulla strada. Alcuni riesco a scavalcarli facilmente, passo attraverso i rami o li aggiro a monte della strada. Man mano che procedo la devastazione aumenta. Mi fermo a guardare il mio ostacolo, questa volta è più insidioso, sono due abeti aggrovigliati e folti, così decido di lanciare il mio destriero sopra le chiome. Faccio attenzione a non danneggiare nulla della bici e dell’equipaggiamento, poi mi arrampico sopra le chiome in cerca di un buon appoggio sui solidi rami seppur flessibili, quindi sollevo la bici e la calo dall’altra parte. A questo punto la faccenda si fa ancora più interessante. Sembra un videogioco arcade, uno di quelli che più vai avanti più ti devi sbizzarrire per arrivare al livello successivo. Sotto intravedo un varco e provo a tagliare un paio di rami, alla mia sinistra, a valle, ho uno strapiombo con un fitta vegetazione e altre devastazioni della tempesta, a monte ho una parete di terra e roccia inclinata a 50°.
Sono le 15 e vista la situazione è meglio fermarsi per uno spuntino. Tiro fuori il vasetto del miele di fiori, granuloso e giallo come il grasso e ne mangio qualche cucchiaiata, mangio una banana e bevo un po’ d’acqua. Intanto mi giunge qualche folata di vento che si porta dietro le nuvole. Finito il breve pasto ritorno al mio rompicapo. Tornare indietro è fuori discussione, una via d’uscita c’è sicuramente. Allora lascio sul sentiero lo zaino, così da essere più agile, prendo la bici carica di tutte le borse e comincio ad inerpicarmi su per il ripido versante, cercando delle rocce stabili dove puntare i piedi mentre con le braccia tese sostengo la bici. Alcuni esili alberelli mi permettono di incastrare la bici con la piega su di loro, quindi faccio piccoli passi in cerca di un appoggio stabile e spingo la bici più su. Dopo dieci metri verticali la pendenza si fa più lieve, deposito la bici a ridosso di un abete bello grosso e ritorno giù da dove sono salito, riprendo lo zaino e risalgo.
Percorro diversi metri nel bosco per poi tornare sul sentiero che si rifà nevoso e sempre interrotto da grosse conifere. Penso a quanto la natura possa essere forte per far crescere quei tronchi più solidi del cemento e poi buttarli giù come stuzzicadenti. Tra neve e ghiaccio ricomincio la mia “sciata”, per poi tornare a sprofondare in salita. In quel momento comincia a cadere una pioggia ghiacciata, indosso il mio Patagonia giallo banana e continuo. Finalmente mi godo qualche chilometro in sella, la bici va alla grande e anche le mie gambe stanno bene, sono sorpreso da come mi trovo bene su ogni fondo. All’improvviso, a pochi metri da me, un grosso cervo salta giù da una roccia di due metri d’altezza e piomba nel dirupo. E’ decisamente casa sua.