«Ciao Paolo, avrei in mente un'attraversata nel Catinaccio... è lunga e bisogna mettere in conto la possibilità di dover tornare indietro... no, non credo l'abbia fatta nessuno quest'anno. Allora ok, ci vediamo a casa mia»
Da qualche anno progetto questa splendida traversata, ma i miei amici scialpinisti non sono assolutamente disposti a seguirmi. Non posso assicurare che troverò il passaggio, non so quante ore serviranno e neppure se si rientrerà prima del buio. Solo Paolo, l’ultimo arrivato, è disposto a condividere con me quest’avventura: ha iniziato quest’anno a fare scialpinismo e la grinta non gli manca!
I miei sentieri neri nascono da progetti che approdano misteriosamente nella mia testa. Progetti che spiegano le vele partendo da sogni alquanto improbabili, o quantomeno problematici, che prevedono un percorso in attraversata, in ambienti isolati e selvaggi, pochissimo frequentato, possibilmente su sentieri non segnati che si snodano seguendo i segni dell’orografia e qualche antica traccia… non c’è nulla di più intrigante come l’entrare in un luogo seguendo le tracce di antiche frequentazioni… e che gioia quando nel momento del dubbio, quando si comincia a temere di non uscire dal labirinto,un vecchi taglio di mugo indica all’improvviso la via: è come se qualcuno da un lontano passato venisse ad aiutarti.
Da Gardeccia abbiamo raggiunto la forcella Valbona Piccola, su per uno stretto canale tormentato dagli accumuli da vento. Quindi siamo scesi per lo splendido vallone sul versante opposto, per trovarci poi a ravanare come matti tra sassoni, mughi, torrenti da attraversare, rimontando faticosamente verso la Busa dell’Ors, piuttosto accidentata e senza segni di passaggio. Certo, uno dei gestori del posto mi aveva ben detto che nessuno saliva di là con gli sci. Strano o forse no.
Comincio a capirne il motivo mentre lotto con neve e mughi nel tentativo di salire: il terreno è difficile e più in alto sembra anche abbastanza pericoloso, l’esposizione rende il percorso raramente fattibile. «Paolo, una traccia! Sono passati di qui a piedi… Perfetto, ora non avremo più problemi a raggiungere l’altopiano di Tires»
Rinfrancata proseguo con il cuore più leggero: anche se verrà buio basterà seguire la pista che sembra ben evidente.
I miei sentieri neri sono spesso bianchi di neve, neve che si porta via il solco del sentiero, i segni bianchi e rossi, la certezza del percorso, cambiando tutto e modificando la natura stessa dei luoghi. Territori vergini dove creare un nuovo sentiero, unica ombra che interrompe il bianco della neve, precisa ma labile traccia che attraversa le montagne, a volte incerta altre più sicura, ricettacolo della nostra determinazione, del dubbio, della fantasia, dell’incertezza.
La bella traccia di ciaspole finisce all’improvviso nel nulla. Quasi non ci credo. Come? Non è possibile. Dove sono andati? Ma non c’è tempo per le domande, ormai sono le 15 e 30 e abbiamo poche ore di luce. Parlo con Paolo: proviamo a salire fin lassù, dove il pendio finisce contro un anfiteatro di rocce; là dovrebbe esserci il passaggio segreto che ci porterà all’agognato altopiano.
Riprendo a salire spinta dall’ansia di trovare il passaggio, la nostra salvezza. Finalmente dopo una serie di ripidissimi pendii mi affaccio all’anfiteatro finale. E vedo solo roccia, un invalicabile cerchio roccioso che chiude ogni lato. Affronto con impeto il breve tratto che mi nasconde l’ultima parte di visuale e improvvisamente, tra le alte pareti rocciose, compare una strettissima bianca fessura, che prosegue verso l’alto. Eccolo! Allora esiste! Che spettacolo, un corridoio tra le rocce, un vero e proprio passaggio segreto, invisibile fino all’ultimo. Il sole sta tramontando e la salita è davvero impegnativa, con qualche saltino roccioso.
Lascio indietro Paolo che con molta fatica affronta questo tratto tecnico, sperando capisca, e arranco verso l’alto, supero l’ultimo stretto canalino e dei ripidi pendii ghiacciati sospesi sui salti, e là in fondo, ormai avvolte dall’ombra, intravedo le forme più dolci di una valletta trasversale e la sagoma di un cartello. Con l’ultima luce raggiungo il segnavia, che indica il rifugio Alpe di Tires. Continuo a tracciare fino al rifugio, quindi ridiscendo incontro a Paolo, sperando di vedere il bagliore della sua frontale già oltre il salto roccioso. Poco dopo ci abbracciamo e felici risaliamo al rifugio. La porta del bivacco è sotto la neve e ci tocca spalare a lungo, ma finalmente entriamo. E’ freddo, non c’è stufa e non abbiamo più niente da mangiare e da bere, ma ci sono coperte e fuori il cielo è splendido, pieno di stelle.
I sentieri neri che amo di più hanno un posto dove fermarmi quando il sole tramonta e si accendono le stelle…per assaporare la notte che cala, il silenzio, il profumo lasciato dal giorno, e per incontrare poi una nuova alba, ancora lassù, tra le montagne. E in quella pausa lontano, in un altro mondo, c’è tutta la bellezza ed il senso del mio andare.
Beh… il cibo era davvero scarso, ed il vino non c’era proprio, ma è stata la più bella festa della donna che potessi desiderare!