Sono in attesa alla fermata del pullman. Il cielo è coperto, come ormai da giorni. Sembra autunno inoltrato e siamo a metà agosto.
Il clima qui è proprio un altro. Ricordo quando l’anno scorso sono arrivato in aereo ad Edimburgo verso sera. Nuvole scure, temperature basse. Pioggia che sembrava potesse diventare neve. Pareva di essere passati in poche ore dall’estate al periodo natalizio.
Sto girovagando tra l’Inghilterra e la Scozia da circa tre settimane. Lo scopo è imparare l’inglese, ma senza fare corsi e passare il tempo seduto su un banco. Ho preferito mettermi in viaggio. Sto imparando meno grammatica, ma sono costretto a praticare, per quanto i vari accenti che incontro rendano la comprensione dei dialoghi, a volte, piuttosto complicata.
Alla fermata c’è un uomo, con uno zaino molto grande e pesante che ha poggiato per terra. Ai piedi ha anche uno zainetto, da cui ha estratto un libro.
Ho trascorso gli ultimi giorni in un monastero tibetano, si dice uno dei centri buddisti più importanti in Europa. Immerso tra colline e paesaggi scozzesi, con l’architettura e lo stile orientale, è una visione che colpisce. Mi chiedo come appaiano queste strutture tra le montagne in cui sono sorte inizialmente. Il paradosso è che qui ho fatto amicizia con una famiglia di vicentini e invece di praticare inglese ho finito per passare diverso tempo a dialogare in dialetto, tra le simpatiche cadenze venete di queste persone appassionate di meditazione.
Sono arrivato la sera in cui era appena terminato un ritiro di dieci giorni. C’era un’aria frizzante tra chi alloggiava. L’aria di rilassamento e festa che segue ad un’esperienza intensa.
I ritiri della tradizione tibetana sono davvero densi ed impegnativi. Uno dei miei amici vicentini ha svolto il famoso ritiro di tre anni, durante il quale si osservano i propri processi mentali senza giorni di sosta, dall’alba alla notte.
Chiedo all’uomo fermo alla stazione un consiglio sui mezzi di trasporto verso Edimburgo e lui mi propone di viaggiare in corriera, evitando il più dispendioso, anche se più breve, percorso in treno.
Lo seguo e iniziamo una conversazione che ci accompagnerà per tutto il tragitto.
Gli domando da dove viene, ma mi dà una risposta che non capisco. Dev’essere del nord della Scozia, ma ha nominato più zone.
E’ sulla sessantina. Ha un’aria stanca e pare in viaggio da parecchi giorni. Mi colpisce, perché mi confida che non ha pranzato in mensa, perché aveva finito i soldi e non voleva approfittare.
Discorriamo di varie argomenti, mentre dal finestrino si susseguono ambienti collinari, case con tetti appuntiti e muri di pietra scura, foreste e brughiere.
Ho compiuto diverse escursioni nell’Inghilterra settentrionale in queste settimane. Le montagne sono antiche e le aree di roccia affiorante si contano sulla punta delle dita. Le zone in cui si arrampica sono davvero poche. Mi immagino che messe assieme potrebbero comporre in superficie solo una delle nostre pareti dolomitiche, ma è un mio conto di cui non ho nessuna conferma. Questi monti, che sembrano poco più che colline brulle e spoglie, hanno comunque un loro fascino e una loro storia.
Col mio compagno di viaggio sto entrando sempre più in confidenza. Mi ha parlato di diverse esperienze in giro per l’Europa e del suo interesse per il buddismo. Gli chiedo cosa va a fare ad Edimburgo e mi risponde che forse vedrà degli amici. Gli ripropongo la domanda su dove viva.
«Sono un nomade» mi risponde, «non ho mai passato più di uno o due anni in un unico posto. Ho cambiato diversi lavori, spostandomi da un luogo ad un altro»
Lo guardo e mi pare di aver più chiare diverse cose. Ma sono affascinato.
Questa vita nei fatti è la concretizzazione di quel sentire l’esistenza come un flusso di esperienze che si rinnovano continuamente, come un cammino, come un pellegrinaggio.
Mi parla del perché di questa scelta, che pare fuori dal tempo. Dice che le popolazioni nomadi sono quelle che nella storia hanno avuto un minor impatto sull’ambiente; che i grandi maestri dell’umanità hanno vissuto da nomadi. E che «Quando un bambino piange, se lo prendi per mano e lo fai camminare, si calma»
Arriviamo ad Edimburgo mentre ormai è sera. Dopo giorni che mi sposto da solo, non ho nessun problema ad orientarmi per la stazione dei treni. Inoltre sto per incontrare un amico italiano che mi verrà a prendere, giunto a destinazione. Per una volta non dovrò darmi da fare per trovare alloggio e sospenderò per un po’ l’obbiettivo di esprimermi in inglese.
Kenneth però ci tiene ad indicarmi la strada.
Mi saluta e penso che qualcuno si è preoccupato per me, proprio quando non ne sentivo la necessità e prima ancora di pensare a dove avrebbe trascorso, senza soldi, la notte.