Essere in linea. Oggi tutti pensano a internet. O alla dieta del momento. No, per me è l’aderenza.
È l’attenersi ad una netta separazione.
Da lunedì a venerdì traccio linee sulla carta: solco il foglio con la matita, ripartisco gli spazi e non ammetto sconfinamenti oltre i bordi. Il sabato segno linee sui pendi del Mont Fallere con identico rigore. Salgo solo, diretto, da oltre dieci anni. In cima, carico gli sci in spalla ed attraverso le creste rocciose spazzate dal vento. Non ho mai avuto alcuna esitazione, nemmeno quella volta che la bufera offuscò il cielo. Mai ho barcollato sulla linea, indeciso se valicarla o meno. Mai. Tranne quella volta.
L’alba aveva appena accarezzato la Grivola davanti a me. La luce iniziava a rischiarare la valle e, sporgendomi un poco, potevo vedere la mia a casa laggiù, nascosta dai larici. D’istinto presi i bastoni e disegnai un cerchio sulla neve ad abbracciare tutta la mia figura. Sul suolo imbiancato si stagliavano però due ombre. Sprofondai nella paura dell’ignoto e non riuscì a muover un passo. Tutte le tenebre che avevo confinato al di là delle linee in quel momento mi inghiottirono e credo che mai, come allora, provai un così debordante fremito di vita, di selvaggio, di primordiale senso delle cose.
“Ciao”. Credo l’abbia ripetuto almeno tre volte. Forse mi credeva sordo o più semplicemente inebetito dal freddo. Era bellissima e sorridente. Era salita fin lì dal versante opposto, quello che si inerpica dal rifugio, quello dell’artista che ha costellato il sentiero di sculture d’uomini e d’animali.
“Sei vivo o anche tu sei di legno?”. Forse lo ero davvero, troppo rigido per andare oltre le mie venature. Scendemmo insieme, disegnando scie intrecciate, le prime a lasciare un segno nella mia vita, le uniche a farmi sconfinare oltre i limiti del mio io.