Vittorio Giacomin
Scrivo, qualche volta; cammino, quando posso; immagino, sempre.
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testo e foto di Vittorio Giacomin
Scriveva Giovanni Pozzi, “Ogni proposito di vita solitaria si scontra con il paradosso che, se cercata, la solitudine è inafferrabile; se ti afferra, è insopportabile”.
Nei miei viaggi, grandi o piccoli, spesso dentro me stesso, camminando principalmente, vivo questa oscillazione che credo molti abbiano sperimentato.
Il viaggio più entusiasmante che l’uomo può intraprendere, è quello della ricerca della “verità” o per meglio dire, dell’origine delle cose, dell’essere profondo, della forma interna, di ciò che ti offre la sensazione di qualcosa che dura nel tempo, di qualcosa che superi le impressioni, perché le impressioni sono mutevoli, sono prive di solidità, non riguardano l’essenza.
Come nella ricerca artistica si tenta di svelare l’essenza, che non parla solo di spirito, ma anche di destino, di ciò che sta sopra alla nostra umana capacità di volere e di potere, così pure l’intenzione del viandante è tesa alla ricerca di questo stato nascosto, o più in generale, del fondamento, della monade; una ricerca, come nella pittura di Cézanne, che insegna che pensare il mondo come qualcosa di incrollabile, perché fatto di cose costruite dagli uomini o dalla natura, è sbagliato, e che serve cambiare questa abitudine di pensiero perché, se bene osserviamo le cose, o i fenomeni, ci viene rivelata la natura disumana sulla quale l’uomo si è posto. E la natura, madre e matrigna, se ascoltata, ci induce ad un senso di sublime struggimento che rende partecipe alla vita, e commuove, lasciando una nota di malinconia.
Sentiero, nel suo significato profondo, indica l’azione dell’andare, ma anche del separare, del ritrovarsi, del perdersi.
L’ineffabile, il mistero, l’indicibile, diventano in questo cammino una congiunzione tra pensiero, forma, colore e azione e trasformano la semplicità, la finitezza della nostra vita, in una unità, in un cammino.
Sentiero, nel suo significato profondo, indica l’azione dell’andare, ma anche del separare, del ritrovarsi, del perdersi. Forse è per questo che siamo così innamorati di questo cammino.
L’azione del camminare, quella del viandante, che tantissimo amo fare, è determinata dall’ascolto delle voci che emergono nella solitudine nella quale mi immergo, solitudine che vado cercando, dalla quale può emergere la più potente delle domande: “Dove sei?”
Rispondere a questa domanda senza infingimenti significa ritrovare il posto dove si è. Puoi andare quindi in nessun luogo e impiegare la vita stessa in questa ricerca per non arrivare mai, ma se rispondi alla domanda e sei sul sentiero della ricerca, tutti le vie del tuo cercare sono la tua casa, la tua salvezza, il posto dove puoi stare.
Se, come indica Martin Buber, l’uomo fa della sua vita un cammino, un sentiero, che porta verso “se stesso”, potrà “raggiungere il proprio destino”, “arrivare in tempo all’appuntamento fissato” come ebbe a scrivere Antoine De Saint-Exupéry.
Può accadere che ”non potendomi arrampicare sulle nuvole, presi per le colline”.
Erodoto ci ha insegnato che raccontare delle storie non significa descriverle, narrarle, ma significa aver compiuto una indagine, aver percorso sentieri, essere viandanti. Colui che racconta lo fa perché vede, racconta perché ascolta.
Mi vengono in mente le parole di Piovene riprese dal suo “Viaggio in Italia” quando a proposito di Vicenza scrive: “mi riprende la meraviglia”, e lo scrive pensando a Palladio che con poche e modeste cose è stato capace di costruire “una città in bianco e nero… in un paese dalle luci morbide… in cui l’aria sembra portare un colore disciolto”. Ma Palladio, che è figlio dei greci e dei romani, sa perfettamente che l’essenza delle cose, il non visibile, lo stato fondativo sta nei rapporti, nelle armonie, nel ritmo, nei numeri e nelle relazioni, sta nella penombra, nel chiaroscuro, nella parte oscura di ognuno di noi che spesso non vogliamo indagare.
E da questo vedere e ascoltare emerge la consapevolezza che ciò che non ha limite, confine, inizio, fine, non lo posso rappresentare, o forse, in qualche modo, lo posso manifestare e far emergere solo in questo rapporto di relazioni, armonie e colori.
Il titanico tentativo dell’uomo è spesso quello di liberare il sole dalla sua stessa luce perché ha intuito che solo nelle ombre e nei colori possiamo trovare questa liberazione, trovare il mistero, perché la troppa luce acceca e ci rende inconsapevoli, mentre del nero primordiale, o del buio, non ce ne facciamo niente.
Questo è lo stretto sentiero del viandante che, per usare ancora le parole di Piovene è come “una montagna veduta dal basso e da lontano, quando è aspirazione, favola, luogo di immaginazione”.
Poi, come ha scritto Vitaliano Trevisan, può accadere che: ”Non potendomi arrampicare sulle nuvole, presi per le colline”.