La montagna vicentina conserva diffuse tracce delle opere dell’uomo relative soprattutto al primo conflitto mondiale, ma anche più rare vestigia di attività economiche marginali della seconda metà del secolo scorso.
Lungo i sentieri abbandonati, costruiti per raggiungere questi luoghi di difficile accesso, si può essere testimoni della veloce opera di riconquista da parte della natura. Forse un emblema del destino che attende la fragile costruzione della civiltà contemporanea.
Ancora per poco, nelle Prealpi vicentine in alto sui versanti boscosi si possono scorgere delle misteriose macchie bianche isolate. Per lavoro, nella fascia del faggeto ho percorso ripidi sentieri che stanno per essere inghiottiti dal bosco, fino a raggiungere le macchie. Solo i vecchi abitanti delle valli sanno. Qualcuno ha speso degli anni della sua vita a spaccare la roccia dolomitica, respirando polvere e guadagnando traumi o fratture, quando non di peggio.
In quel periodo cavare la roccia lassù in alto poteva dare un modesto reddito. Le vene di materiale buono non si concedevano facilmente, bisognava salire in alto, dove filoni di scura roccia basaltica solidificando nelle fratture della dolomia, l’avevano trasformata in minerale traslucido di un bel colore verde acqua, la brucite. Il marmo dolomitico bianco candido con sfumature verdognole aveva un suo mercato nella fabbricazione dei pavimenti policromi “alla palladiana”, ora non più. I sentieri che servivano ad arrivare lassù erano talvolta delle carrarecce a fitti tornanti per trasportarvi con camioncini dei materiali pesanti. Il marmo poteva più facilmente scendere a valle con teleferica, mentre il detrito di scarto andava ad accumularsi in discariche instabili che ancora oggi si protendono verso valle, parzialmente stabilizzate dalla vegetazione pioniera che avanza.
Scavalcando tronchi caduti di traverso e masiere crollate mi son arrampicato fin lassù. Talvolta un vecchio autocarro arrugginito è parcheggiato di lato, altre volte taniche metalliche inclinate col tappo aperto riverso offrono il loro contenuto d’acqua di pioggia. Di ferro arrugginito si trovano cunei, piedi di porco, scatolette aperte, cavi aggrovigliati con la vegetazione. Lamiere che servivano per tetto di ricoveri in pietra son state sparse nel bosco dal vento. Sembra che il luogo sia stato abbandonato in fretta, senza darsi la pena di raccogliere il ferro che poche decine di anni indietro, nel primo dopoguerra, costituiva una risorsa per i “recuperanti”. Altro lavoro pericoloso, quando la massa di ferro era una bomba inesplosa.
Cosa succederebbe se all’improvviso la specie umana fosse decimata dal realizzarsi di un Evento X o addirittura scomparisse?
Eppure a me questi sentieri abbandonati evocano non più il passato, ma il futuro. Cosa succederebbe se all’improvviso la specie umana fosse decimata dal realizzarsi di un Evento X o addirittura scomparisse? Sono molti gli eventi rari, ma non per questo impossibili, definiti X: esplosioni nucleari, blackout delle reti elettriche, collasso della rete internet o di tutti i dispositivi elettronici, fuga da un laboratorio di un virus letale, collasso dei mercati finanziari, crisi energetica per esaurimento del petrolio estraibile a basso costo, crollo delle filiere alimentari per il riscaldamento climatico, eccetera. Del resto abbiamo una sola certezza, che la civiltà contemporanea poggia su pilastri precari, ed è sempre più vulnerabile, a mano a mano che la sua complessità e la popolazione aumentano.
Come reagirebbe il resto della natura se all’improvviso fosse sollevata dall’incessante pressione che esercitiamo su di essa? Di sicuro ci vorrà molto tempo affinché il clima alterato dall’emissione di anidride carbonica prodotta bruciando in un centinaio di anni il carbonio accumulato sottoterra in centinaia di milioni di anni torni entro livelli compatibili con le infrastrutture della civiltà. Ma le sue vestigia scomparirebbero molto presto per i processi incessanti che teniamo sotto controllo con un lavoro di manutenzione quotidiana. Il cemento ha una durata che non arriva al secolo. I semi si infilano nelle crepe più minute e le radici delle piante producono brecce sempre più estese. L’umidità entra attorno ai chiodi che tengono unite le assi e ai tondini del cemento armato, che arrugginiscono allentando la presa. La pioggia entra attraverso i vetri delle finestre rotti per la collisione degli uccelli. I semi depositati tramite le deiezioni degli uccelli anche ai piani più alti all’interno degli edifici vi producono boschi pensili che sfondano i tetti e sbriciolano dall’alto le costruzioni. I composti plastici si sminuzzano in frammenti sempre più piccoli ed alla fine, anche se lentamente, pure l’alluminio e l’acciaio si corrodono.
I sentieri che portano alle cave di marmo sparse sui versanti delle montagne stanno scomparendo. Molte pareti di roccia artificiali si stanno mimetizzando con quelle naturali. Alla fine rimarranno come cicatrici solo esili tracce botaniche, chiazze di bosco dal colore diverso.