Quando ero ragazzino, la mia famiglia trascorreva le vacanze in una località sulle Dolomiti. Per circa tre settimane i miei genitori e noi quattro figli trascorrevamo le giornate tra escursioni in montagna e passeggiate ai rifugi.
Questa consuetudine si è ripetuta per circa venti anni, fin quando noi ragazzi, per un motivo o per l’altro, e in tempi diversi, abbiamo smesso di passare le vacanze con i nostri genitori, distratti dagli altri interessi dell’adolescenza.
Mio padre ha sempre amato la montagna, anzi credo sia stata (e ancora sia) la vera grande passione della sua vita, che ha potuto coltivare però solo marginalmente, in quanto impiegato di banca a Roma, ben lontana dalle amate vette alpine che quindi raggiungevamo, con rigorosa consuetudine, ogni estate.
Con i miei genitori avrò quindi percorso centinaia di escursioni, ma questa è quella che oggi, a 36 anni, ricordo con maggiore intensità, e che in qualche modo sento abbia segnato il mio passaggio tra il mondo dei piccoli e quello dei grandi.
Un giorno di quella estate del 1989
Avevo 9 anni ed eravamo a San Martino di Castrozza, in provincia di Trento. In un imprecisato giorno dell’estate del 1989. Come ogni giorno, la mattina si partiva per una gita: camminata, pranzo al rifugio, discesa e poi tutti in hotel. Un rituale più o meno simile tutti i giorni, seppur con destinazioni diverse. Quell’estate c’era con noi Michele. Lui e mio padre si erano conosciuti in montagna vicino Roma, qualche anno prima. Un incontro suggestivo, dai loro racconti: Michele praticava lo yoga e pensò bene di eseguire una perfetta verticale in appoggio sulle mani sulla cima del monte Gennaro, monti Lucretili. In quel momento arrivava mio padre, solitario anche lui, e se lo trovava lì, a testa in giù, su quella vetta. E fu così che avevano iniziato ad organizzare assieme le loro escursioni. Quell’anno Michele era venuto con noi anche in vacanza d’estate.
Ricordo pochissimo della prima parte di quella giornata. Funivia, camminata, forse un rifugio. Tutto successe sulla via del ritorno. Io ero molto sveglio per la mia età, o almeno così dicevano tutti. Ero abituato a sgambettare in montagna fin da piccolissimo e mi ritenevo completamente indipendente. Camminavo più velocemente di mia madre e di mia sorella e sul sentiero per tornare in paese, nei boschi, accelerai. Con la convinzione che da lì a poco avrei ripreso Michele che si trovava più avanti con mio fratello Marco, più grande di me di sei anni. Loro due, di buon passo, avevano preso un leggero vantaggio e procedevano davanti a me forse solo di qualche centinaio di metri.
Il sentiero procedeva in discesa. Era una traccia chiara, netta, ben visibile. Scendeva a tornanti nel bosco, ma non era pericolosa, ed io per andare ancora più spedito iniziai a tagliare le curve scendendo ripidamente nel bosco per ritrovarmi dopo pochi metri sullo stesso sentiero, più in basso. Non lo sapevo, ma così facendo (in base alla ricostruzione dei fatti) tagliando una curva dovevo aver mancato un bivio cruciale.