Saggio

Cinque libri da mettere nello zaino (meno uno)

testo e foto di Davide Torri

16/07/2018
8 min

Alla stagione estiva si danno molte responsabilità o, all’opposto, non se ne dà nessuna. Ad esempio con la lettura è un fiorire di consigli su libri che occorre assolutamente avere, su nuove e irrimandabili storie, titoli che passano di bocca in bocca e che, poi, alla fine si portano in spiaggia e lì restano a riempirsi di sabbia, inumidirsi dai venti notturni e sbiadirsi al sole cocente. Noi, però, che i libri ce li portiamo nello zaino, avvolti in una maglietta asciutta, appoggiati alla nostra schiena mentre saliamo i tornanti di un ripido sentiero e, alla sera, sugli scomodi tavoli di un altrettanto scomodo riparo per la notte, ci consumiamo gli occhi sopra di essi, ecco, noi sappiamo quanto sia bello avere un compagno silenzioso accanto. Quindi, per favore, chi vorrà leggere uno dei libri che vi proponiamo, non vada al mare. Salga sui monti.

Chi vorrà leggere uno dei libri che vi proponiamo, non vada al mare.
Salga sui monti.

SENTIERI NERI, Sylvain Tesson, Ed. Sellerio, 2018, 15 euro

Il primo libro che vi invito a leggere piacerà di certo al mio/nostro/vostro amico generoso Teddy. I Sentieri Neri che danno il titolo al libro sono “autentici varchi segreti, che evocano il ricordo di un Paese che si spostava a piedi, niente a che vedere con i sentieri degli escursionisti, strade segnalate, disseminate dai cartelli, frequentate da sportivi e politici locali. Sentieri che permettono a volpi e furetti di arrivare in città”.
Tesson raccoglie da buon francese l’eredità maledetta di alcuni suoi predecessori illustri. I suoi Grand Tour non si svolgono certo in posti di facile accesso ma, in questo libro, suo malgrado, è costretto a raccontarci di un viaggio, a piedi, a pezzi, imbottito di antiepilettici, con un bel po’ di ferraglia a tenere assieme la sua schiena, attraverso la Francia rurale. Anche se di Francia si parla la situazione di questa agricoltura, per lo più montana, non è diversa da quella nostrana. Ma non si tratta di un pippone sociologico: Tesson è, prima di tutto, un affabulatore, uno che legge, come noi dovremmo diventare, e un grande conoscitore dell’uomo (e anche delle donne, ma questo è un altro discorso). Leggendo questo racconto lungo, supera di poco le centocinquanta pagine, camminiamo con Sylvain in mezzo ad un mondo che sta cambiando irreparabilmente e con continue contraddizioni, il suo punto di vista, a volte non condivisibile, ci affascina e, con lui potremo trasformare noi stessi “in un monastero ma, una volta sollevata la botola della cripta interiore, la vita ci sarà più accettabile”.

LA MANUTENZIONE DEI SENSI, Franco Faggiani, Fazi Editore 2018, 16 euro

Questo libro è rimasto a lungo chiuso nella mia libreria, rischiando persino di scomparire, come una ballerina poco capace, dietro la seconda fila dei libri che, in ordine sparso, casuale e nervoso, stazionano sul mobile. La colpa non era certo sua ma di un libraio dalla barba ben curata che me lo aveva consigliato come “erede di Cognetti”. La copertina era così bella (e il viso di Franco ti passa subito fiducia e simpatia) e così, nonostante il peccato originale, fu aperto e letto.
Pur avendo una certa vicinanza con le tematiche di Otto Montagne, Faggiani scrive come chi ha una certa maturità, acquisita dallo scorrere del tempo e dal modo con cui questo viene impegnato. La sua montagna, nonostante qualche perdonabile guizzo, non è mai una sorpresa. La montagna è lì, non ci salva, non ci condanna. Sono gli uomini che vi stanno sopra a farlo. Per sè stessi e per gli altri. E i protagonisti de La Manutenzione dei Sensi lo sanno bene, come lo sa bene anche l’autore. Se c’è un libro da leggere in montagna, magari mentre si aspetta che il temporale d’agosto si allontani, al riparo dentro una vecchia baita, è proprio questo. I personaggi sono credibili, ben descritti, e la storia scorre come vorremmo che scorra. Leonardo, Martino, Nina, il dottor Rambaldi, la famiglia Bermond, Elena, la signora Borgovecchio sono come personaggi di una commedia teatrale di una volta (quando il teatro aveva i giusti sostegni pubblici), con tanti attori sulla scena contemporaneamente eppure nessuno fuori posto. E, un poco, la vita di Leonardo, con le sue fortune e sfortune, con la sua fatica nel far crescere le persone a cui vuoi bene e l’accettare lo scorrere del tempo, ci viene comprensibile, perché forse è quella che vorremmo. “Le ore di cammino nella notte erano le preferite di Martino. Nessuna domanda, nessuna parola, solo occhi spalancati, piccoli gesti e passi misurati (…) I nostri sicuri cammini notturni, ben diversi da certi nebbiosi ed inquietanti ritorni a casa nelle serate milanesi, erano contemplati da Martino come la manutenzione dei sensi”.

LA CURA, Arno Camenish, Ed. Keller 2017, 12 euro

La Keller di Rovereto è ormai garanzia di ottimi libri che (anche) parlano di e con la montagna. In catalogo, ad esempio, lo stupendo romanzo Indian Kreek e lo spiazzante Cuore di bestia. Con Camenish si entra nella letteratura appassionata e colta che pare uscire dalla penna di un Kundera ringiovanito e montanaro.
LA CURA è una (breve) storia di un uomo e una donna, già in là con gli anni, con una dose non omeopatica di disincanto alla vita che, ad un certo punto del loro andare monotono, vincono un soggiorno in un elegante albergo in Engadina. Subito il pensiero va ai miei genitori e li vedo, lassù, vestiti alla moda (l’ultima per loro era quella degli anni ’60) in mezzo a giacchette di goretex e pantacollant che dovrebbero imbarazzare una statua di marmo. Lui che, con un completo verde scuro, “vince una volta a tombola, una volta nella vita sei il grande vincitore e per punizione ti tocca dormire quattro notti fuori casa” e lei, con il suo golfino rosa stretto al collo che “guarda che roba, è come nei film, sul Queen Mary sarà uguale preciso”. Il libro è un continuo passo a due, tra il corrosivo punto di vista di lui e l’ingenua sorpresa di lei. Eppure nulla stona e attorno alla coppia si distendono paesaggi e personaggi che raccontano di una montagna eternamente in conflitto: quella vissuta da dentro e quella vista da fuori. E così può accadere che con una busta di plastica stretta in mano da cui, come dalla borsa di Mary Poppins, escono fette di salame, paraorecchie, chiavi di casa, bottiglie, sigarette, carote, formaggio, radio con antenne rotte, pinze, ad un certo punto,  lui e lei, come i miei genitori, su un sentiero di montagna sconosciuto, mentre in cielo scoppiano i primi tuoni, si preoccuperanno dei lampi ma sapranno anche meravigliarsi delle farfalle che volano attorno.

IL REGGIMENTO PARTE ALL’ALBA, Dino Buzzati, Ed. Henry Beyle 2018, 36 euro

Questo, tra i consigli che stiamo regalando, è l’unico libro che, per la qualità del libro in sè e, un poco per il costo, non dovete portare nello zaino. Va letto con cura, senza rovinare la carta Tatamy ivory su cui sono stampate le quattrocento copie del testo di Dino Buzzati e poi messo lì, in bella vista nella libreria da cui, con regolarità e secondo un rituale che dovete darvi, va ripreso per rileggere, a caso, uno dei brevissimi racconti che compongono IL REGGIMENTO PARTE ALL’ALBA.
Questo reggimento, da cui “i portaordini vanno e vengono di continuo”, è qualcosa a cui tutti senza eccezione in città, ma anche fuori nelle campagne, valli, rive del mare, apparteniamo e, però, “nessuno sa neanche quale sia il suo reggimento però quando questo parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire”. Ma non è un libro cupo, chi ama la scrittura sbilenca e, quasi, esoterica, di Buzzati e, in egual modo, i racconti che girano attorno alla montagna (da cui Buzzati mai si era staccato) apprezzerà la brevissima ed intensa storia di Silvio Craveri, Nino Scandurra e Giuliano Toffolo che, mentre scalano la cima della Vallazza hanno “i loro rispettivi reggimenti accantonati giù nella pianura (o si tratta di un reggimento solo, il medesimo per tutti e tre?)”  o quella dello sciagurato ultimo erede delle famose fornaci Sebastian, Ottavio/Dino. Per aggiungere, il più magico tra i racconti, anche i pescatori del laghetto privato sopra Maga Rugo. Tutto da leggere, tutto da trattare bene che in fondo anche i bei racconti ci trattano bene.

TAMANGUR, Leta Semadeni, Ed. Casagrande 2018, 18 euro

La cinquina (non dello Strega ovviamente, anche se volentieri – e fuori misura – avremmo voluto parlare anche del bellissimo libro di Marco Balzano) si conclude con una scrittrice svizzera da noi poco, o per nulla, conosciuta. Fa parte della fortissima squadra di scrittori in lingua romancia e tedesca che, in questi ultimi decenni, hanno veramente dato il meglio della letteratura montana.
Leta Semadeni è al suo primo romanzo e, come poetessa, ha raccolto prestigiosi premi. In effetti, TAMANGUR è una poesia lunga centoquaranta pagine (anche in questo caso la misura giusta per stare in uno zaino e in un giro in montagna) dove le parole hanno giuste posizioni e suoni. Qui una nonna e la sua nipote scivolano lungo la linea del tempo spesso ingarbugliandola, incrociando la propria con quella di chi non c’è più, cioè il nonno che ora è nel paradiso dei cacciatori, o di chi c’è ma non del tutto, come Elsa che “mais je n’aime pas trés vite”. Un libro al femminile, con una bambina dal naso capace di capire se le lenzuola di una stanza d’albergo sono lavate o solo passate al mangano e una nonna che sa distinguere il sesso degli astici dove “un culo così grosso non può che appartenere ad una femmina” e pochi altri personaggi che sostengono gli anni passati insieme dalle due protagoniste fin quando in un giorno con “un cielo limpido, chiaro, con qualche striatura nera” anche la nonna dice: “La mia anima è leggera” e sale a TAMANGUR.

Davide Torri

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


Il mio blog | Scrivo su altitudini.it da molto tempo. Mi piace starci perché, nonostante sia virtuale, è un luogo dove la concretezza delle persone e delle montagne è sempre lì: da toccare.
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