testo di Giorgio Madinelli, foto di Andrea Fiorot / Azzano Decimo (PN)
Degli antichi sentieri ha l’ambizione di essere il primo libro di greppismo, il manifesto di una attività culturale più che fisica. Il greppismo è un modo di andare in montagna che valorizza la crescita personale bandendo le situazioni artificiali. Un modo di vivere la natura per quella che è senza barare, credendo nei propri limiti e nella consapevolezza di essere mortali.
Nato da questi ideali Degli antichi sentieri, non poteva che essere un libro anomalo: né una guida di montagna, né un trattato di antropologia. Piuttosto un libro di viaggio, dato che i greppisti affrontano le loro esistenze come un viaggio verso la conoscenza di se stessi. Un libro di viaggio che racconta un territorio, ma anche la spiritualità degli autori, modellata dall’aver vissuto per qualche tempo in questo ambiente, a contatto con le storie e la sua gente.
Degli Antichi sentieri, memorie dalle Dolomiti Clautane
di Giorgio Madinelli, Andrea Fiorot e Paolo Lorenzi
edizioni La Chiusa, Chiusaforte (UD), 2018
Dice Giacomo Giordani nella sua prefazione al libro Degli Antichi sentieri, memorie dalle Dolomiti Clautane – che noi di pianura, quando entriamo nelle valli clautane, siamo rapiti dalla sensazione di selvaggio e incontaminato. Invece per lui e per molti del passato questo è ambiente domestico e anzi per alcuni di loro è la prima dimora. Anche qui, nella scala temporale delle ere geologiche che modificano l’ambiente naturale, si sono inserite le storie minuscole di malghesi, cacciatori, bracconieri, guardiacaccia, pastori, partigiani, boscaioli: qui hanno disegnato la loro infinita rete di sentieri percorsi una o mille volte. Tante storie, qualche leggenda, per gran parte perse per sempre.
La storia dunque, per Giordani, è fatta dagli uomini e non dalle montagne; è questa una sensazione molto ben presente per chi si addentra nei monti di Claut, dove più che da altre parti i nomi e i soprannomi di persone identificano luoghi geografici: Bosc de Ciocio, Bosc de Cicut, Bus e Pale de Cione, Col de Vittor, Ciol de Nuci, Thima Bortoluth, Ciadìn de Gasparin, Landre de Salmistro, Landre de Pantiana… e qui mi fermo. Ognuno può aprire la cartina e cercarsi i numerosi toponimi derivati da nomi propri di persona che abbondano in Val Settimana.
Mi ha sempre affascinato questa toponomastica, mi intriga sapere chi fossero coloro ai quali per sempre sarà dedicato un bosco o un torrente, o addirittura una cima. Forse pastori, cacciatori, scopritori di passaggi a cui è stato dedicato il luogo?
Mi sono dunque convinto che dovevo fare una ricerca storica per venire a capo del problema. Una visita all’Archivio di Stato di Pordenone mi ha sepolto in una montagna di atti della Vicinia di Claut, a partire dalla metà del XVII secolo: tanti contratti di passaggio di proprietà, locazioni, imposizioni pubbliche, dove i nomi vengono utilizzati, non spiegati.
Gildo Bortolusso, fabbro ferraio da Cuncuardia Gafaree
Mi sono rivolto in un secondo momento all’Archivio Storico Diocesano di Pordenone, dove sapevo essere presenti i diari parrocchiali di 48 comunità locali, e vi ho reperito anche quello della parrocchia S. Giorgio di Claut. Tra faldoni di nascite, morti, matrimoni ecc., ho trovato alcuni quaderni di formato diverso, risalenti agli anni tra il 1763 e il 1789, vergati da tal Don Pietro Vidoni che fu parroco di Claut in quegli anni. Don Pietro oltre ai registri ufficiali teneva un diario degli avvenimenti di paese.
Molto interessanti sono le descrizioni che fece Don Pietro sulle conseguenze dei terremoti del 1776 e del 1789. La fatica di leggere tutti quei quaderni è stata infine ricompensata da uno scritto datato 28 luglio 1781 e dal suo seguito scritto in data 13 agosto dello stesso anno.
Ripropongo qui di seguito i due brani avvertendo che si tratta di una trascrizione fedele all’originale, con tanto di errori ortografici, parole indecifrabili e modi di dire dialettali. Tale testimonianza ci chiarisce l’origine dei toponimi Bortoluth (Ciadìn, cima) e S. Francesc (Ciadìn, cima e forcella).
La storia
28 luglio 1781 | Vennero meco Maria Borsatt sedonera accompagnata da tale Gildo Bortolusso, fabbro ferraio da Cuncuardia Gafaree. La Maria tornava dal suo viaggio in pianura dove vende mestoli e attrezzi di legno. Pettegola come tutte le donne raccontava in giro che in su la montagna de Claute da qualche mese vagava ramingo un giovine e la voce giunse al Bortolusso che nulla sapeva più del suo primogenito Giuseppe scomparso. Il Bortolusso era dunque venuto in Claute insieme alla Maria giutandola nel tirare e sburtare la carretta della mercanzia.
Il suo figliuolo, mi raccontava il Bortolusso, era da anni in seminario a Puart dove otteneva un buon profitto e stava per prendere i voti. Senonchè il diavolo sotto le vesti di una fanciulla gli fe perdere la testa. Cambiò modo di fare, s’inimicò i superiori e infine fu scoperto a ubbriacarsi con gli infusi alcolici del frate erborista e cacciato dal Seminario. Dopo qualche giorno inquieto a casa disse che voleva partire e di notte sparì senza nulla lasciare detto. Il povero padre credeva che il giovine che girava sui monti di Claute poteva essere il di lui figlio disgraziato e mi domandava d’aiutarlo. Seppi da Maria che le voci le erano state riferite da Lucilla Lorenzi figlia del pastore che porta le bestie in Sinons e dunque ci recammo da detta donna per ragguagli. Lucilla confermò che più volte nelle settimane scorse, quando saliva in Sinons dal padre per portargli farina da polenta, aveva veduto questo giovine che le parve gentile e colto, parlava latino come un prete alla messa, raccontava della bellezza del creato di animali e fiori e diceva pure che oltre la forca di Sinons aveva incontrato l’orso e con parole gentili lo aveva ammansito così come fece il santo Francesco con il lupo. Il Bortolusso s’accordò con la Lucilla per essere accompagnato in Sinons e dato che il mio compito era finito mi ritirai.
13 agosto 1781 | Oggi pomeriggio che pioveva fortissimo abbiamo sepolto il Giuseppe Bortolusso figlio del fabbro ferraio di Cuncuardia Gaffaree trovato esanime alla base delle pareti rocciose nel ciadin, in suso la casera Gravussa. Il Bortolusso padre fu generoso con i pastori Lorenzi e con tutti i clautani che lo giutarono a recuperare e trasportare la salma. Lasciò pure un obolo per la nostra chiesa.
Il libro “Degli antichi sentieri” è stato presentato sabato 14 aprile 2018 a Claut presso la Sala Convegni, chi volesse acquistarlo può scrivere a: cooplachiusa@libero.it.
foto apertura: Pastori intenti a fare il formaggio. Foto di Ruggero Lorenzi tratta dal suo libro Valcellina, la strada della luce (1989).