Recensione

L’ANNO DEL NEVONE

In questo libro, l'autore intreccia una trama violenta con l'alpinismo e la fisica teorica, creando una narrazione che analizza concetti scientifici in un contesto di estremo pericolo e conflitto personale.

testo Ledo Stefanini

L'ultima foto di Mario Cambi e Paolo Cichetti durante l'invernale alla cresta sud.
19/10/2025
7 min
Sulle dispense di “Fisica 2” di Edoardo Amaldi si sono formate generazioni di fisici per decenni a partire dagli anni ’60, e grande è stata la sorpresa

nello scoprire che era proprio lui uno dei tre che compaiono in una fotografia del 1929, sprofondati fino alla cintola nella neve, posta in copertina dell’ultimo romanzo di Alberto Sciamplicotti “L’anno del nevone” (Monte Rosa Edizioni).

Con Edoardo, nella foto, sono Giovanni Enriques e Ninetta De Angelis, ripresi, sfiniti e affranti davanti al Rifugio Garibaldi al Gran Sasso. Moltissimi hanno studiato sui manuali scolastici della Casa Editrice Zanichelli, diretta appunto da Giovanni, figlio del grande matematico Federigo. I tre erano impegnati, dal 16 febbraio, nella ricerca disperata di due amici. Mario Cambi e Paolo Emilio Cichetti che erano partiti per un’invernale sul Corno Piccolo e di cui non si avevano notizie da una decina di giorni. Avevano da poco superati i vent’anni i due ragazzi, e già si erano fatti fama di forti alpinisti in seno alla sezione romana del CAI.

Amaldi sul rifugio Garibaldi in cerca di Cambi e Cichetti

Funerale di Cambi

In questo libro, l’autore intreccia una trama violenta con l’alpinismo e la fisica teorica, creando una narrazione che analizza concetti scientifici in un contesto di estremo pericolo e conflitto personale.

In anni in cui nelle Alpi non si parlava ancora di salite invernali (non nel senso che l’espressione assunse a partire dagli anni ’60) i due avevano deciso di scalare la Cresta Sud del Corno Piccolo, per una via che avevano già percorso in estate. L’otto febbraio, nel pieno di un inverno che verrà ricordato come quello del “nevone”, da Pietracamela si avviarono verso la montagna affondando nella neve e, verso sera, raggiunsero il Rifugio Garibaldi. Per misteriosi motivi, la porta era aperta e l’interno invaso dalla neve. Per di più, mancando una pala, non riuscirono a chiudere la porta e, a causa del camino otturato, neppure ad accendere il fuoco.
Sul libro del rifugio, la mattina del 9 lasciano una nota:

Siamo senza orologio. Partiamo a giorno alto diretti al Corno Piccolo, giungiamo dopo circa due ore, attraverso varie difficoltà per le orribili condizioni della neve valangosa.
Attacchiamo immediatamente la cresta SE (Chiaraviglio-Berthelet). Al tramonto giungiamo al cengione sotto la “Mitria”. Siamo costretti a tornare a causa della notte prossima e delle mani gelate. Il freddo è stato di una intensità straordinaria. L’esser costretti ad andar senza guanti fa gelare le mani immediatamente, le cui dita diventano in pochi secondi di un color giallo.

La perdita di un sacco aggrava le nostre condizioni. La via da noi seguita, che di estate è una interessante arrampicata, senza mai gravi difficoltà, è in questa stagione straordinariamente difficile e pericolosissima, date le condizioni della neve. Il freddo era tale che le mani si appiccicavano alla roccia e al ferro della picozza, a causa della loro umidità che gelava immediatamente al contatto. Anche la saliva gelava subito al contatto della roccia. Abbiamo percorso circa la metà della cresta e nella sua parte più difficile. Se non fosse stato il pensiero che una notte passata all’aperto con questa temperatura sarebbe stata quasi certamente impossibile a superarsi, saremmo giunti in vetta.

Ritorniamo al Rifugio, dopo aver recuperato il sacco, per il Passo del Cannone e la Conca degli Invalidi. Il percorso viene compiuto di notte. Togliendoci le scarpe, troviamo i nostri piedi in una fodera di ghiaccio e ci accorgiamo di averne ciascuno di noi uno congelato. Lo massaggiamo immediatamente con neve e poi con alcool. Si gonfiano prendendo aspetto di cotechini e sono perfettamente insensibili.

Il 10 e l’11 febbraio e restano fermi perché i piedi gonfi non consentono di calzare gli scarponi. Intanto, continua a nevicare e dura senza sosta una tormenta che accumula neve su neve. Il 12, esaurite le scorte di viveri, calzati dolorosamente gli scarponi, i due iniziano disperatamente la discesa verso Pietracamela. Vengono anche travolti da una valanga e infine, vinto dal freddo e dalla fatica Mario Cambi si arrende e muore di stenti tra le braccia del suo amico. Paolo Cichetti trova ancora la forza di scrivere un messaggio per eventuali soccorritori:

Ho lasciato il povero Mario vicino a Rio Arno. Sono rimasto con lui fin quando è spirato. Troppo freddo: Troppa neve. Una valanga ci ha investito mentre scendevamo. Gli zaini sono persi. Ho i piedi e le mani congelate. Provo a continuare. Non credo arriverò a Pietracamela. Perdonatemi. Sono sfinito. Dite ai miei amici Giovanni, Enrico, Ettore, Gastone, Edoardo che non siamo riusciti a ripetere la via di Chiaraviglio e di Bertholet. Siamo arrivati fin sotto la Mitria, prima della cengia del Secondo Pendolo, lì troveranno le nostre tracce. Addio.

Paolo Cichetti non poteva fare altro che proseguire la sua disperata discesa pur avendo esaurito ogni risorsa energetica e morale. A soli due chilometri dal paese, si accasciò nella neve, senza più rialzarsi.

Giovanni era Enriques, Enrico era Volterra, Gastone era Piqué ed Edoardo, Amaldi. Enriques, Amaldi e Volterra erano tutti figli di illustri matematici, che condividevano l’amore per la montagna e frequentavano la casa di Guido Castelnuovo, altro insigne matematico dell’Università di Roma. Si trattava dunque di giovani uomini che erano dentro o contigui all’ambiente in cui vivevano Enrico Fermi e i suoi allievi e collaboratori, che in futuro diverranno noti come “ ragazzi di via Panisperna”. Il più valente del gruppo nella pratica alpinistica era Franco Rasetti che sicuramente si sarebbe aggregato alla pattuglia dei soccorritori, se proprio in quel periodo non si fosse trovato in California, grazie ad una borsa di studio ottenuta tramite Vito Volterra, padre di Enrico.

Ritratto di Mario Cambi

Ernesto Sivitilli, medico condotto di Pietracamela

Ettore Majorana

Gastone Piqué era un laureando in ingegneria che, durante gli anni di studio aveva stretto un fortissimo legame di amicizia con Ettore Majorana, anche lui orbitante intorno a quello che veniva definito “il papa”, cioè Fermi. Proprio nel luglio seguente, Majorana, si laureò in fisica, con Fermi relatore, con una tesi su «La teoria quantistica dei nuclei radioattivi».

Per tornare ai poveri Cambi e Cichetti, l’allarme venne dato il 16 febbraio da Ernesto Sivitilli, medico condotto di Pietracamela e forte alpinista. Furono organizzate varie spedizioni di soccorso tra cui quella degli amici di Roma, che partirono il 22 febbraio, compiendo una salita faticosissima su vari metri di neve. Purtroppo, quando raggiunsero il Rifugio Garibaldi, tutto ciò che vi trovarono furono le pagine del diario scritte da Cichetti prima di intraprendere la fatale discesa. Ne testimoniano le memorie di Giovanni Enriques che scrive:

Finalmente, dopo 39 ore di traversata, il giorno 23 febbraio riuscimmo a venir fuori da quell’inferno bianco che aveva messo a dura prova la nostra spedizione di soccorso. Alcuni di noi presentavano segni di congelamento ed eravamo allo stremo delle forze.

Sforzi del tutto inutili perché Cambi e Cichetti erano già morti. Il corpo di Cichetti venne trovato pochi giorni dopo la morte, mentre quello di Mario Cambi venne ritrovato, molto più in alto e soltanto nel mese di aprile.

Di questa tragedia, nel 2018, ha pubblicato uno studio storico accurato la guida alpina Pasquale Iannetti (L’ultima ascensione, Artemia Nova editrice). Il libro di Alberto Sciamplicotti già dal titolo (L’anno del nevone) rivela intenzioni diverse da quelle storiche, in quanto ha un impianto dichiaratamente romanzesco. L’autore inserisce infatti sul tessuto dei fatti storici alcune ipotesi, che pescano nel mare delle possibilità, ma sono frutto di fantasia, che virano la storia in un giallo appassionante, ambientato qualche mese dopo la tragedia, in cui il protagonista è Ernesto Sivitilli, medico e profondo conoscitore del Gran Sasso. Ma ha un ruolo Ettore Majorana, o meglio, la sua tesi di laurea, in quanto lui di persona non compare. Non bisogna poi trascurare il clima politico di quegli anni, quando il fascismo da pochi anni si era trasformato in regime, per definizione stessa del fondatore, “totalitario”.

Pochi giorno dopo il “Giornale d’Italia” pubblicava un commento alla vicenda che si potrebbe definire “appassionato” se non fosse accompagnato da un pompieresco sentore di retorica. Sotto il titolo “L’educazione virile della montagna”, l’ignoto autore dell’articolo ne ricava un solo insegnamento:

Il dramma assurge all’epopea e rivela la potenza incrollabile di volontà e di energia, documentata dalle frasi semplici e serene che i due eroi hanno tracciato nel diario del Ricovero: non un lamento, non un’invettiva, non una parola di dubbio, d’incertezza o di scoraggiamento, ma la sicura fede nelle proprie forze, la ferma decisione di raggiungere la meta, sfidando ogni pericolo.

In un paese che potrebbe ricordare la Sagliena di “Pane, amore e fantasia”, se non per un clima politico opprimente, il medico condotto Sivitilli, nella scomoda e pericolosa veste di investigatore, e il maresciallo Benincasa, si trovano a fare un’indagine apertamente avversata dalle autorità politiche locali che porta ad esiti cruenti. Ma non diremo altro del romanzo, per non privare il lettore del piacere di scoprire l’appassionante succedersi degli eventi.

L’anno del nevone

Autore: Alberto Sciamplicotti
Editore:  MonteRosa edizioni, 2025
Pagine: 196
Prezzo di copertina: € 17,50

MonteRosa edizioni

Ledo Stefanini

Docente di fisica all'Università di Pavia (sede di Mantova), studioso di storia dell'alpinismo.


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1 commenti:

  1. andrea gobetti ha detto:

    Appassionante introduzione, cercherò il romanzo, grazie

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