Intervista

IL MIO ALPINISMO È COME UN PASSO DI DANZA

Raccontare Denis Urubko è già di per sé un'impresa. Per tutto ciò che ha scalato e per la sua avventurosa e poliedrica vita: attore, alpinista, scrittore.

testo di Roberta Orsenigo

28/12/2024
7 min
Incontrare Denis Urubko è stato come aprire un antico libro di imprese epiche, dove ogni pagina racconta storie di coraggio e sfide ai limiti dell'umano.

Narrazioni che in un attimo ti trasportano in un mondo parallelo, abitato da quei pochi che osano sfidare le vette più estreme.

L’appuntamento è a casa sua, a Nembro, piccolo comune bergamasco da cui partono sentieri verso pareti che sono state la palestra di leggende dell’alpinismo: Walter Bonatti, Carlo Nembrini, Mario Curnis, solo per citarne alcuni. Un luogo che Denis chiama casa.

Mi offre una tazza di caffè solubile, mele, formaggio, dolci. Un’ospitalità semplice che apprezzo. Ho una lista infinita di domande: non sono un’alpinista anche se amo la montagna, ma mi affascina il modo in cui guarda la vita chi è salito così in alto. E lui, in cima agli ottomila c’è arrivato ventisette volte, senza portatori, spesso solo e senza ossigeno, che Denis considera ‘il doping dell’alpinismo’.

Figlio di un’insegnante della scuola d’infanzia con la passione per il pianoforte e di un padre ingegnere topografo che lo portava alle battute di pesca e di caccia, Denis mi racconta di aver frequentato una scuola di recitazione prima di incontrare la montagna. La folgorazione avviene sfogliando una rivista, dove lo colpiscono due articoli: il primo, l’ascesa in solitaria di Reinhold Messner sul Nanga Parbat; l’altro, l’apertura di vie nuove sul Dhaulagiri da parte di due alpinisti kazaki. «Nella scuola di recitazione ci sono stato tre anni, poi quando ho cominciato a praticare l’alpinismo ho dovuto fare una scelta e mi sono iscritto al club alpino di Vladivostok. Però poi ho capito che sulle pareti potevo recitare me stesso, senza maschere. Non ero più un personaggio».

Denis Urubko, classe 1973, è nato a Nevinnomyssk (in Russia, nel nord del Caucaso). Nel 1987 si trasferisce con la famiglia sull’isola di Sakhalin e quindi, nel 1990, a Vladivostok.

Nel Caucaso settentrionale dove vive le montagne sono però troppo basse per un ragazzo che sogna già in grande. Il Monte Elbrus, con i suoi cinquemilaeseicento e rotti metri non è un obiettivo che stimola la sua ambizione. «Prima di aver letto quegli articoli non avevo ben compreso la filosofia dell’alpinismo sportivo», mi confida. Così, nel 1993, a vent’anni compiuti, lascia quella che è già l’ex-Unione Sovietica e si trasferisce in Kazakistan, acquisendone la cittadinanza.

Con non poche difficoltà si arruola quindi nel gruppo sportivo militare alpino, dove rimarrà diciotto anni prima come allievo e poi come istruttore. «La scuola per alpinisti di alta quota kazaka mi ha insegnato a vivere e a sopravvivere in montagna. È costruita su un sistema che ti fa realizzare il processo in modo positivo. Nella mia carriera di alpinista i pensieri di morte sono stati forse solo un paio. Se mi trovo in una situazione di pericolo, e nella mia carriera ce ne sono stati molti, cerco solo il modo per venirne fuori».

A vent’anni Denis Urubko incontra Ervand Ilyinsky, leader del corpo sportivo militare kazako. Si trasferisce quindi a Almaty, in Kazakistan, e si arruola nell’esercito.

«Il sistema di allenamento appreso con la scuola kazaka mi ha permesso di diventare un atleta d’alta quota e di scalare sempre in stile alpino. Aprire nuove vie è l’ambizione più grande per un alpinista. I primi scalatori che salirono sul Monte Bianco cercavano le vie più semplici, ma noi non ci accontentiamo della cima, vogliamo arrivarci lungo vie sempre più difficili e nel minor tempo possibile».

Le sue imprese sono leggendarie: dal battesimo degli ottomila, lungo la via normale della parete sud dell’Everest con Simone Moro (2000) alla storica prima invernale sul Gasherbrum II sempre con l’alpinista bergamasco e Cory Richards (2011).

Nel 1999 arriva la grande occasione per entrare nel mondo dell’alpinismo internazionale, quando Simone Moro e Mario Curnis lo coinvolgono nello Snow Leopard(1), la più alta onorificenza che dai tempi dell’Unione Sovietica viene attribuita agli alpinisti che completano cinque vette sopra i 7000 metri: Pic Lenin (7134 m), Khan Tengri (7010 m), Pik Pobeda (7439 m), Pik Korzhenevskaya (7105 m), Pik Communisma (7495 m). Denis e Andrey Molotov, alpinista kazako coinvolto nell’impresa, la completano in quaranta giorni, là dove Moro e Curnis si fermano a quattro cime per problemi fisici.

Dopo questa esperienza, iniziano scalate sulle Alpi, sul Lhotse, sull’Everest. «Mi stavo rendendo conto che in Kazakistan non c’era grande interesse per queste imprese e per l’alpinismo sportivo. Ho capito che era arrivato il momento di andare avanti da solo, salire sulle cime himalayane più alte e aprire nuove vie in velocità».

Le sue imprese sono leggendarie: dal battesimo degli ottomila, lungo la via normale della parete sud dell’Everest con Simone Moro (2000) alla storica prima invernale sul Gasherbrum II sempre con l’alpinista bergamasco e Cory Richards (2011), fino all’ultima incredibile impresa che nel 2022 lo vede tornare al grande alpinismo con una sequenza da brividi, tre ‘andata e ritorno’ fatti senza scomporsi troppo. Il 19 luglio scala il Broad Peak (20h), il 23 luglio il Gasherbrum II (15h e 20’) e conclude la tripletta il 29 luglio con il K2 (36h). Tutte in stile alpino, in velocità, muovendosi da solo tra i campi base e portandosi tutto il materiale necessario sulle spalle.

Gli chiedo quali sono state le spedizioni più ardue. Risponde: «Broad Peak(2), Manaslu con Sergei Samoilov. E poi la spedizione sulla sulla parete sud-est del Cho Oyu(3), dove ho rischiato la vita a causa delle cattive condizioni climatiche. Ma alla fine ne sono uscito».

Un ricordo, quello di Denis, che mi richiama le parole di Walter Bonatti: «Ci sono miracoli che si possono fare solo nell’estremo della vita. La morte va accettata, mai subita».

Se le sue imprese sono state leggendarie, non lo sono stati di meno i suoi salvataggi di alpinisti i difficoltà. Primo fra tutti quello di Elisabeth Revolon sul Nanga Parbat(4). Denis, che in quel momento si trovava sul K2 con una spedizione polacca, fu prelevato con un elicottero insieme ad altri alpinisti, tra cui Adam Bielecki. Depositati al primo campo base, i due scalano in poche ore e in notturna le difficili pareti e riescono a metterla in salvo. «Mi hanno salvato molte volte – mi dice – e quindi so che bisogna salvare». Purtroppo, in quella spedizione perse la vita il compagno di cordata di Elisabeth, Tomek Mackiewicz.

Denis Urubko e Pipì Cardell in Patagonia (foto Denis Urubko)

Scalare e aprire vie è pur sempre un’arte, una specie di danza. In questo senso mi sento un artista.

«Se sulle pareti mi piace scalare da solo o con cordate poco numerose, nella vita privata, invece, mi piacerebbe condividere la casa con le persone che amo. Purtroppo, questa è forse una delle poche imprese che ancora non sono riuscito a realizzare. Sono stato cittadino sovietico, kazako e ora polacco. Ho una compagna in Spagna, María José Cardell, detta Pipi, alpinista e climber e vivo prevalentemente in Italia, dove ho amici, progetti, sogni e dove vorrei stabilirmi».

Nel 2019, Maria e Denis tentano una nuova via in stile alpino sul Gasherbrum II, dove purtroppo lei è costretta a rinunciare per un problema fisico. La apre Denis, in solitaria e gliela dedica. Honeymoon, luna di miele, il nome che sceglie.

Della nuova via aperta racconta: «Sono partito di notte al buio. L’ho studiata sulle foto, l’ho immaginata così bene che quando mettevo le mani sulla parete capivo dove stavo: roccia, seracco, crepaccio. Conosci il processo, sai come fare, segui un’intuizione. Scalare e aprire vie è pur sempre un’arte, una specie di danza. In questo senso mi sento un artista».

Con la compagna, Denis si dedica alla scalata su roccia, dove vuole raggiungere gradi importanti. «Io ho migliorato il suo alpinismo, lei la mia arrampicata». Durante una delle loro spedizioni, in Pakistan hanno creato un piccolo progetto. «Dalla città di Skardu – racconta – partono tutte le spedizioni d’alta quota e i portatori non sono ben preparati. Così abbiamo attrezzato delle pareti affinché loro le possano sfruttare come circuiti di allenamento. Sono diventati un parco giochi anche per i bambini, che all’uscita dalla scuola si cimentano sulle pareti e iniziano ad avvicinarsi alla scalata».

Denis mi racconta che sono ancora molti i sogni e i progetti nel cassetto. «Nel 2025 mi piacerebbe tornare sul Nanga Parbat, poi sogno una nuova via K2 e una in stile alpino sull’Everest. Oggi però i costi per le spedizioni sono molto aumentati e le sponsorizzazioni difficili da ottenere».

L’intervista finisce, l’incontro è stato piacevole. Mi saluta con un baciamano inaspettato e mentre lo ringrazio penso a Shine on you crazy diamonds, il titolo di una canzone dei Pink Floyd con la quale Denis ha chiamato il gruppo di cinque vie aperte in stile alpino sugli ottomila. Non poteva trovare un nome migliore. Continua brillare, diamante pazzo!
_____

1) Qui maggiori informazioni sullo Snow Leopard.
2) Nel 2005, nuova via sulla parte sud-ovest del Broad Peak (8046 m) con Serguey Samoilov in stile alpino. Dopo un tentativo di salita invernale nel 2020, risale nel 2022 (20h e 40’ da campo base e ritorno).
3) Il 10 maggio 2009, con Denis Urubko scala con Boris Dedeshko la parete sud-est del Cho Oyu (8201 m). Con questa ascensione, completa la serie dei 14 ottomila e si aggiudica l’Asia Piolet d’Or (2009) e il Piolet d’or (2010).
4) Il fatto avvenne nel corso dell’inverno 2017/2018. L’obiettivo dei due alpinisti era arrivare in cima alla via Messner-Eisendle. Dopo aver raggiunto la vetta, Tomek ha gravi problemi fisici. La Revlon, costretta a scegliere tra la vita e la morte, lo lascia a quota 7400 m lungo la via Kinshofer e tenta la difficile discesa. Poi i soccorsi.

Denis Urubko con i figli
Roberta Orsenigo

Roberta Orsenigo

Sono giornalista pubblicista, copywriter e autrice di testi per produzioni video.


Link al blog

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Esplora altre storie

Per cominciare a ricostruire l’Appennino dentro di noi. Per rientrare nei luoghi abbandonati, sentirne... Per cominciare a ricostruire l’Appennino dentro di noi. Per rientrare nei luoghi abbandonati, sentirne le voci. Per andarci, passarci del tempo, non solo per...

Ai lati ci sono quattro stanze, due per lato. Una è blu. Di questa... Ai lati ci sono quattro stanze, due per lato. Una è blu. Di questa non ho misure. So solo che è blu. ...

Un breve racconto per testi ed immagini vuole in qualche modo tracciare una sottile... Un breve racconto per testi ed immagini vuole in qualche modo tracciare una sottile linea rossa tra il muoversi degli umani e quello della...

Gli Adventure Days come li ha visti e vissuti Luca Orsini: "Con l’occhio scevro... Gli Adventure Days come li ha visti e vissuti Luca Orsini: "Con l’occhio scevro di chi vive la montagna a distanza di sicurezza". ...

Esco di casa che è ancora buio ed ho addosso il desiderio di fuggire... Esco di casa che è ancora buio ed ho addosso il desiderio di fuggire dalla monotonia alla quale il confinamento da COVID mi ha...

Una valanga, una corda, una donna sepolta sotto la neve salvata da Nanni Settembrini... Una valanga, una corda, una donna sepolta sotto la neve salvata da Nanni Settembrini che non si arrende al mistero della corda senza una...

Ancora qui, da solo sulle Ande. Volevo arrivare a Lima e andare a nord,... Ancora qui, da solo sulle Ande. Volevo arrivare a Lima e andare a nord, invece devo scendere verso sud, perché ho dovuto accettare il...

"Solo la natura era, sopra ogni cosa, davvero padrona. E questo era il monito... "Solo la natura era, sopra ogni cosa, davvero padrona. E questo era il monito ma ora abitiamo un mondo diverso e abbiamo perduto le...

Sono le sere terse di novembre, quelle che più mi fanno pensare a te. Il... Sono le sere terse di novembre, quelle che più mi fanno pensare a te. Il profilo delle montagne si delinea nitido contro il cielo scuro,...

La Valle Albano ha selve di castagni secolari dai possenti toraci ruvidi scavati dal... La Valle Albano ha selve di castagni secolari dai possenti toraci ruvidi scavati dal fuoco di incendi dimenticati, In questa valle torniamo spesso alla...