Nullarbor, così a naso, il senso del nome è chiaro e corrisponde all’arsa realtà. Pietrame coperto da erbe secche e da cespugli spettrali dilaga all’infinito. Molta gente di cultura anglosassone è convinta che l’origine del nome sia indigena, come lo è per molti altri luoghi qui in Australia.
Ora, ad inizio gennaio, è estate nell’emisfero australe; delle bacche appiccicose e tonde somiglianti all’uva spina, come per miracolo trattengono liquidi asprigni. Memore della storia di Chris McCandless di “Into the Wild”, evito di ingerirle, ma se fossi assetato, penso, sarebbe una tentazione dura da sopprimere.
La terra quando si vede tra le rocce è rossa scura e avrebbe la capacità di sostenere le foreste se l’acqua fosse a disposizione.
Ancora, ricorrendo al latino, i primi colonizzatori europei dichiararono questa terra “Terra nullius”, nonostante scambiassero doni con gli indigeni e fossero aiutati con viveri e acqua dolce. Giustificarono un furto agghindato da lingua morta.
racconto stupendo tra il reale e il sogno