IL DUCA
Che sia un romanzo di montagna[2] non c’è dubbio: il teatro in cui si muovono i personaggi, il paese a mezza costa di Vallorgàna, in Val Fonda scavata dal torrente Fragolfo, è dominato dai boschi spogli della Montagna.
Il nuovo lavoro di Melchiorre si apre con un’immagine che avrebbe fatto felice Alfred Hitchcock e, nello stesso tempo, ci anticipa uno dei temi centrali del libro che sta proprio nella imprevedibile quanto drammatica presenza della Natura.
Distinsi una poiana: becco aperto, occhio tremendo, ali basse. Stringeva al suolo, inchiodata con gli artigli, una cornacchia nera.
Il Duca racconta in prima persona la sua storia: ultimo della dinastia dei Cimamonte, unico erede di un consistente patrimonio e di una stirpe prossima a disseccarsi. Quello del Duca di Vallorgàna è però un titolo incauto e non solo perché il protagonista sarebbe a tutti gli effetti (anche quelli inutili) un Conte ma perché il paese stesso presenta un ordinamento sociopolitico comune a tanti paesini che non ce l’hanno fatta a stare al passo con il tempo. A Vallorgàna tutto gira attorno all’istituto informale del cortile. Vi sono cortili grandi e meno grandi, popolati o quasi vuoti (…) sereni e cooperativi (o) percorsi da antichissime ostilità.
E in quei cortili se sei di sesso maschile, sai fare qualcosa con le mani e lo fai instancabilmente, sei violento nei gesti, nelle parole e nei pensieri puoi ben diventare feudatario del cortile e vassallo[3] di Fastréda. E Fastréda sarà il principale avversario del nostro antieroe: Fastréda, quello che si è infilato nella nicchia ecologica lasciata dagli antenati del Duca, il sultano, quello che si è fatto da sé, il vecchio falso, doppio, triplo, il più canaglia di tutti.
Con Fastréda l’indolente e un po’ minchione protagonista incontrerà anche la discordia: infida, sleale, subdola, meschina (…) destinata ad imperversare per mesi e mesi, disseminandoli di insensatezze, consumando il tempo, infettando e viziando ogni cosa.
Nel romanzo di Melchiorre entrano tutti i topos della montagna, quelli più romantici e retorici. Ci entrano descritti da chi non si fa abbindolare dal richiamo del si-stava-bene-quando-si-stava-male. Legna tagliata e rubata, malghe con gerani e formagetti ad uso turistico/cittadino, lupi minacciosi e minacciati, confini spostati, stalle incendiate, boschi che corrono troppo, fiere di San Matteo, emarginati e zingari e ci sta, comoda, tutta la sapienza dell’autore (direi erudizione in gran misura) che ci accompagna nella storia, piena di casi domestici e accadimenti quali guerre, pesti e finanche una cometa, delle nobiltà del passato. Perché anche in montagna, in secoli lontani così generosi di metafore e di ingiustizie, la nobiltà esisteva ed era una questione di sangue. Punto e basta. E così lo scontro tra il Duca e il Frasnéda diventa uno scontro di classe, non nuovo, mai risolto, ma che sulla bocca dei protagonisti, nei gesti dei comprimari, persino negli stravolgimenti della Natura prendono nuovo vigore.
Trovarne di insegnanti come te….
Sempre un piacere leggerti: mai banale!