Tu guardi avanti e pensi: di qui non si passa, qui il sentiero finisce. E invece si passa, e invece il sentiero non finisce e questo grazie alla saggezza e alla maestria degli uomini che quel sentiero lo hanno prima immaginato e poi scavato. Così, girando le pagine de “La montagna di Quentin”, ti trovi a pensare che è impossibile arrivare alla montagna partendo, per esempio, dall’analisi di “Le Bénevole” di Jonathan Littell o “Fantasie virili” di Klaus Theweleit. Libri che scavano nelle ragioni più profonde del fascismo e del nazismo, nelle ragioni più profonde del male. Che cosa c’entra, in tutto questo, la montagna? Per orientarci su un terreno decisamente infido e per nulla facile, ci avvarremo dell’aiuto della miglior guida che qui potremmo avere: l’autore del libro, Vincenzo Agostini.
≈ Vincenzo, da dove nasce “La montagna di Quentin”, come ti è venuta l’idea di scrivere questo libro?
È successo che erano i primi giorni della pandemia. Un po’ per scherzo e un po’ per noia avevo messo per iscritto alcune mie riflessioni su Bastardi senza gloria, il film capolavoro di Quentin Tarantino. Il quale, in realtà, è una pellicola che parla molto di montagna, anzi, che secondo me è un vero e proprio film di montagna, anche se al contrario; e mi pareva che ancora nessuno se ne fosse accorto. Avevo fatto leggere queste mie riflessioni a Michele Vello, un caro amico. Il quale, invece di lasciarmi perdere, un giorno mi ha fatto trovare sotto lo zerbino della porta la sceneggiatura originale del film. Credo che La Montagna di Quentin sia nato quel giorno, da quel bel regalo di Michele, che per me è stata una suggestione molto forte, e dal desiderio di condividere con i miei lettori una radicale ripensamento del mondo della montagna del secolo scorso, dell’alpinismo in modo particolare. Volevo andare all’origine del fantastico della montagna, cercare di capire perché noi oggi la vediamo così, per disvelarne i nessi nascosti, i meccanismi di funzionamento, le conseguenze a volte tragiche. Oggi, infatti, la montagna, esattamente come un secolo fa, sta perdendo i suoi contorni reali e sta diventando un luogo del fantastico, molto spesso del posticcio, potremmo dire del fantasy, con gravi conseguenze innanzitutto per coloro che la abitano.
≈ Nel sottotitolo tu parli di “immaginari e regole di una terra confinaria”, ma per terra confinaria non intendi certo i confini geopolitici che pure spesso sono segnati dalle montagne, ma i confini tra opposti elementi, ciò che separa la terra dal cielo, il freddo dal caldo, il verticale dal piatto. Come nasce e dove porta questo immaginario?
Io non ho mi percepito la montagna come un mondo verticale, di pinnacoli e di vette. Meno che mai come una parete da scalare. Voglio dire che mi sfugge l’idea della montagna come un verticale accessibile per pochi eletti o appassionati. Così considerata, la montagna non solo perde gran parte del suo fascino, ma anche della sua essenza storica e antropologica. Perde, secondo me, anche quella che può essere considerata, se mi si passa il modo di dire, la sua ragione di stare a questo mondo. In realtà per me la montagna è un confine, quasi un’orlatura del mondo. Chi vi si avvicina, qui sta il suo fascino che è anche la sua pericolosità e il suo significato, gode delle sensazioni che solo gli eccessi sanno dare. Solo che non sempre sono eccessi positivi, anzi! Ho trovato fondamentale, a questo proposito, il libro “Fantasie virili” di Klaus Theweleit uscito negli anni Settanta del secolo scorso. Per Theweleit, sociologo di formazione, il mondo è anche il luogo dove gli opposti del caldo e del freddo, del duro e del molle, del verticale e dell’orizzontale, del bianco e del nero, si combattono. Non si tratta certo una idea nuova, la ritroviamo anche nel De rerum natura di Lucrezio. Ma se questo è vero, e in qualche modo vero lo è, lo dice anche la nostra esperienza, dobbiamo constatare che la montagna è il luogo principe dove questi opposti si combattono. In questa visione del mondo, che mi affascina perché spiega molte cose, anche della mia vita, la montagna è un luogo di eccessi, appunto un confine: è il regno del freddo, del duro, del verticale, del bianco. È una fantasia, fra l’altro molto virile. Di questa fantasia, foriera di tante conseguenze, anche molto politiche, dobbiamo essere consapevoli: per dominarla e non restarne travolti. Per comprendere quanto sia grave questo rischio basti riflettere su come molta letteratura e cinema e narrazione pubblica oggi racconta la montagna: è un fantasy, dove la realtà non c’è più.
≈ Una figura a cui dedichi molto spazio nel libro è quella di Leni Riefenstahl, attrice e regista del Bergfilm, del film di montagna degli anni 20, e che per molto tempo fu portavoce dell’estetica nazifascista. Qual è la montagna di Leni Riefenstahl e quale tipo di immaginario ha contribuito a plasmare la sua estetica, nel cinema e non solo?
Considero Leni Riefenstahl una delle figure più tragiche ed emblematiche del secolo scorso. Con la sua arte ha lasciato segni indelebili nella storia e nella cultura, e a noi corra l’obbligo di saperli leggere. Il mio interesse per la sua figura deriva dal fatto che la sua vita è stata un lungo viaggio attraverso gli elementi dei quali abbiamo detti prima: il bianco e il nero, il duro e il molle, il caldo e il freddo, il verticale e l’orizzontale, l’alto e il basso. Leni Riefenstahl ha visto tutto, anzi, ha voluto vedere tutto, dal paradiso all’inferno, e a questo tutto ha sacrificato tutta se stessa. In questo suo lungo viaggio durato un secolo intero, le montagne, soprattutto le Dolomiti, sono state fondamentali, suo luogo di iniziazioni e di elaborazioni artistiche tanto profonde quanto ardite. Ma la vita è ricerca della giusta misura, è mediazione, spesso è un compromesso. Da questo punto di vista trovo che gli abitanti storici della montagna i quali, salvo qualche rara eccezione, le montagne non le scalvano affatto, a differenza di Leni Riefenstahl avessero trovato la loro giusta misura, sia della montagna che della loro vita. Era un punto di quiete, un giusto equilibrio: per non perdere l’orientamento quando si percorre la terra di confine che sono le montagne. Era anche una giusta postura. Nel mio libro cerco di capire il perché di questa postura, quali sono i suoi segreti, come oggi si può farla propria per sfuggire al rischio del fantasy.
Bellissima intervista. La montagna dovrebbe essere per ciascuno di noi quella che personalmente viviamo, ciascuno con la propria esperienza di vita, ciascuno con le proprie capacità competenze e idee.