Non chiedere la strada a chi la conosce ma a chi, come te, la cerca.
testo e foto di Daniele Ceddia / Milano
Non sono mancate le volte in cui mi sono chiesto “perché?” senza mai giungere ad una risposta definitiva. È sufficiente dire per il panorama? Per un campo di grano? Per ascoltare i silenzi delle alte cime mentre lo sguardo si perde all’orizzonte a raccogliere gli azzurri sfuocati della lontananza?
Tutta questa fatica, il rischio di cadere o scivolare giù, il sudore e quella caviglia che prima o poi mi abbandonerà… È più comodo il divano dopotutto o anche solo quella sedia adagiata nell’immobilità di una stanza, lo sguardo fisso e vuoto perso nel monitor di un pomeriggio rassicurante. Non succede nulla, tutto si ripete uguale a sé stesso nella tranquilla illusione che, anche oggi, non si muore. O non è forse proprio qui la morte, qui in questo salotto dove nessuna fiamma brucia, dove all’apparenza non manca nulla. Desiderio. Mi piace pensarlo come mancanza di qualcosa, come nell’etimologia classica del termine. Sono morto perché non ho il desiderio.
Capita ai più fortunati di vedere Monti Analoghi. Ce ne sono diversi e non si trovano in un luogo preciso. Può capitare anche di incontrarli sotto casa o in giardino tra un cespuglio di rose e un albero di pesche. Ci sono alcuni problemi però. Il primo è che se hai trovato un Monte Analogo oggi, non è detto che sarà lì anche domani. Potrebbe essersi spostato altrove. In questo caso c’è sicuramente bisogno di cercarlo di nuovo. Il secondo problema che mi viene in mente è di sicuro più spinoso e ostico. Assicuro che è proprio così e lo dico perché, ma che non si sappia in giro, una volta ho avuto la fortuna di vedere (anche se dire “vedere” è molto limitante… in realtà è un’esperienza che coinvolge almeno cinque sensi…), un Monte Analogo. Il problema spinoso è proprio quando capita di vederlo, sentirlo o percepirlo. Una volta esperito un Monte, non se ne può più fare a meno. Se la vita appariva scialba e la società un po’ priva di senso, dopo aver visto un Monte Analogo, tutto il resto potrebbe anche perdere gli ultimi aromi rimasti. Il desiderio. Il desiderio diventa il Monte Analogo e la testa, o forse meglio dire tutto il corpo, torna sempre là nei suoi boschi verdi e marroni, nei suoi profumi di muschio e di legna, nel colore dei suoi prati. Naviga il ricordo di quel senso di pienezza e libertà tra irti sentieri. Si attraversano piumoni nei letti dei rifugi, il camino ancora acceso. Caffè d’orzo ne vuoi? Anche no, al mattino preferisco caffè vero.
Non chiedere la strada a chi la conosce ma a chi, come te, la cerca.
Come risolvere il problema quindi? Era forse meglio il non sapere, l’ignoranza? Forse sì… Purtroppo è capitato di intravederlo e ora tocca, animati dall’inquietudine, cercarlo e ricercarlo. Sì, ma cosa cerchi di preciso, come lo riconosci se te lo trovi davanti? Innanzitutto non pensarlo proprio come un Monte. Può essere fuorviante. È più uno Stato o un poliverso di Stati. C’è chi l’ha visto seduto a un tavolo, chi da uno sperone di roccia, c’è perfino chi l’ha udito sussurrare nel vento e chi ha sentito il suo odore da sotto a una grondaia al riparo dalla pioggia. Dicono che per incontrarlo non servano neppure occhi e orecchie ma un cuore sì, quello serve. È lì che ti accorgi di averlo incontrato ed è lì che lo senti di più. Nel cuore e nella pancia. Così mi hanno detto e credo di poter confermare. È una sensazione che dissolve e si diventa Niente e Nessuno. Piccoli si appare quando ci si guarda da dentro al tutto. Si sparisce immersi in qualcosa di più grande di cui si è parte. Una sensazione che rincuora e rasserena. Altro caffè? Perché no, una tazza abbondante.
Quando si giunge a destinazione? Bella domanda. Ti dico un segreto. Non c’è nessuna destinazione e nessun luogo da raggiungere. Il divenire del passo, quello conta. Si va per andare, “l’essenziale è muoversi, provare più da vicino i bisogni e le difficoltà della vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentire sotto i piedi il granito della terra disseminato di pietre taglienti”(1). Il divenire del passo, quello conta per trovare un Monte Analogo. Prendo appunti: d-e-s-i-d-e-r-i-o, S-t-a-t-o, d-i-v-e-n-i-r-e d-e-l p-a-s-s-o.
Perenne divenire. Non si arriva mai. “Non chiedere la strada a chi la conosce ma a chi, come te, la cerca”(2). Arrivare, fermarsi, adagiarsi nell’illusione di possedere, di essere qualcuno, di non poter cambiare, lì è l’inedia della morte. Prima o poi spiana? Prima o poi spiana sempre.
Sono qui a parlare con altri me cavalcando una lunga salita nel bosco. Solo. Cammino da vari giorni, sempre solo. È un sentiero poco, se non per nulla battuto. Per questo mi piace. Non ci sono distrazioni né parole impiegate per riempire l’aria e il tempo a tenersi compagnia. Flussi di pensieri primitivi si adagiano gli uni sugli altri come onde di marea. Brulicano le voci come le cicale aggrappate alla corteccia degli alberi. Ognuno vuole dire la sua. “Daumal che genio assoluto!”, “R.L. Stevenson l’aveva sicuramente letto… troppe assonanze… poi, in quel libro, quel cammeo… Père Adam l’asinaio…”. C’è una lunga salita nel bosco e sono solo. Penso di dover fare una pausa perché cammino da un po’. Potrei tentare di arrivare al valico e sostare lì gustandomi quella sensazione così ingenua e confortante di aver raggiunto un traguardo. Invece, la via che sto seguendo, improvvisamente si allarga e si immette in una piccolissima radura di una decina di metri quadrati. Un monolocale nel bosco discretamente illuminato e pianeggiante. Sosto qui. Abito per qualche minuto, intensamente, un luogo casuale. Da solo nel bosco, nessuno dietro, nessuno davanti. Un buon caffè? No grazie, basta così.
Ampio monolocale nel bosco, buona esposizione, libero subito.
Si attraversano piumoni nei letti dei rifugi, il camino ancora acceso. Caffè d’orzo ne vuoi?
Libero il mio cuore da paure a apprensioni, resta una sorta di eccitazione per essere qui. Non mi sento fuori posto né estraneo. Sono di casa anch’io come tutto il resto. Tento di sopravvivere e sono precario come questi insetti in allerta per la vita oppure questi uccelli. Si consuma l’armonia e la tragedia dell’esistenza in ogni singolo angolo di natura, in ogni istante. Sono allerta anch’io come gli altri inquilini del bosco: fagiani, scoiattoli, volpi, grilli, allodole, picchi, serpenti e rospi. Ci sono anch’io oggi. In allerta e nella massima attenzione per quello che c’è intorno. Viva presenza, percezione sottile dell’invisibile. Non c’è nulla da capire, il sentire domina. Pervade e investe tutto. Riempie e fa sentire vivi. Sei arrivato? Sì, è qui, in questo luogo casuale e inaspettato. Chi l’avrebbe mai detto? Queste le pendici del Monte che congiunge Terra e Cielo. Questo lo Stato. Chiudo gli occhi. Respiro. È brezza marina. I richiami dei gabbiani riempiono il paesaggio sonoro. Non so dove sono. Nella memoria, non può essere altrimenti. La curvatura terrestre, un orizzonte ampio e profondo, l’oceano. Un luogo metafisico. Il sole cala in mare e il cielo gronda colori che spaziano dal blu scuro al viola, dal giallo pallido al rosso intenso. È uno spettacolo tragico, struggente e poetico insieme, una manifestazione di incommensurabile bellezza. Il sublime della natura davanti al quale a parlare è solo il silenzio. Il cielo è una tela infuocata. Brucio anch’io mentre guardo. Brucio dal di dentro. Credo sia vita con la V maiuscola. Sono Stato qui e altrove nello stesso Stato in cui mi trovo ora. Stato di cui sono cittadino e ospite. Strano ci sia arrivato sempre e solo camminando, deponendo le armi, sventolando bandiera bianca.
È ora di andare. Procedo per il sentiero, svalico, raggiungo finalmente il luogo in cui passare la notte. Il paesaggio cambia in continuazione così come i letti in cui mi riposo dopo una giornata nei boschi. Se ci penso bene in tutto questo divenire l’unica cosa che resta sono io. O forse nemmeno quello. Cambio anch’io mentre cambia il sentiero. Riempiendomi gli occhi di paesaggio ad ogni passo, anche lo sguardo si trasforma, strati di percezioni si adagiano le une sulle altre regalandomi nuove forme di pensiero, nuove immagini per fabbricare sogni.
Dopo giorni, si arriva alla destinazione ufficiale. Per me è sempre un po’ triste. Significa fine del viaggio, molto più raramente gioia per aver raggiunto il traguardo. Rientro a casa, ritorno all’inquietudine. Nuovo desiderio di tornare là a cercare tra i boschi o sotto un ponte di pietra, un nuovo Monte Analogo. Consapevolezza dei fili che tengono legati al quotidiano. I doveri, le responsabilità. Fili che spesso diventano catene. Forse vuoi una grappa? Sì, anche due! Quindi il problema della dipendenza non l’hai risolto? Parli dell’alcol? No, della dipendenza dai Monti Analoghi. Ci sto lavorando. Come ti dicevo, ho sentito dire che li si può incontrare anche passeggiando sotto casa o guardando rondini volare in un cielo azzurro dalla finestra della cucina. Lo Stato può essere raggiunto ovunque ma serve un po’ di esercizio. Un po’ di corsa basterà? Credo sia più utile allenare il cuore, addomesticare la mente, alimentare il fuocherello che si ha dentro senza aggiungere troppa legna. Esercitare lo sguardo.
Uno sguardo ben allenato può vedere un Monte Analogo a grandissima distanza o scovare un prezioso MicroMonte in un ciuffetto d’erba al parco. Non sto dicendo che è facile. Neanche di essere capace. E nemmeno di conoscere qualcuno che lo sia. Però si può tentare. L’importante è ricordare che forma hanno i Monti Analoghi e in quali Stati si possano trovare. Testimoniare che esistono. Per rinfrescarmi la memoria poi, ma questo è solo il mio metodo, mi basta andare da solo in un bosco e camminare per qualche giorno. Dormire per terra mi aiuta. Così trovo le tracce, così torno alla memoria. Desiderio, Stato, divenire del passo.
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(1) R. L. Stevenson, “Viaggio nelle Cèvennes in compagnia di un asino” , Ibis, 2012
(2) Edmond Jabès, “Il libro dell’ospitalità“, Raffaello Cortina, 1991
Complimenti. Ho visto scritti attimi vissuti.
Grazie Marco per il commento. Ho letto e visto il tuo lavoro con gli acquerelli che mi è molto piaciuto e che consiglio. È il numero #8 – Alberi. Complimenti a te!
Una narrazione che si fa poesia, carica di suggestioni e dettagli che stimolano il pensiero. Complimenti Daniele!
Grazie Valeria, troppo gentile…
Vivido è il senso di ricerca che arriva a chi legge, quella necessità che arde e che tiene fuor di quiete. Molto diretto lo stile, in un qualche modo familiare il messaggio, come lo sono le parole di un compagno di viaggio mentre racconta a qualcuno qualcosa che abbiamo visto anche noi
Grazie Samanta per le tue parole. Mi hanno fatto molto piacere.
La scrittura è molto bella, sincera e comprensibile, con pensieri poetici, che sembrano prenderti per mano per accompagnarti in un viaggio mentale.
Grazie Sveva per avermi letto 🙂
Si Daniele, i Monti Analoghi esistono e grazie per questo tuo scritto intenso e dolce
Grazie Paola per aver colto queste sfumature. Continuo la ricerca 🙂