Racconto

#67
HEROES IL MONTE

Dei ragazzi hanno riso guardando il mio viso, stavo camminando, le campane del Duomo suonavano, avevo i capelli bagnati, pettinati in avanti.

testo e foto di Andrea Nosella  / Portogruaro (VE)

26/01/2022
7 min
Marco_Rossignoli_014

Heroes Il Monte

di Andrea Nosella

Il Monte
1980

«Perché piangi?».

Dei ragazzi hanno riso guardando il mio viso, stavo camminando, le campane del Duomo suonavano, avevo i capelli bagnati, pettinati in avanti, schiacciati sulla fronte, loro mi hanno guardato e uno ha detto: «Guarda quello lì che faccia!».

Tutti hanno riso, io sono corso dentro la pizzeria e appoggiato al termosifone ho pianto guardando una signora bionda vicino al bancone.

Lei mi guardava e io mi sentivo brutto e sciocco perché avevano riso di me, io sono buono e forse la signora bionda se mi vede piangere si innamora di me.

Io non ho ancora avuto una ragazza, sono piccolo e poi adesso ho la faccia che fa ridere.

Ero troppo piccolo per capire, il mio Monte era svanito.

Ero solo un bambino che sognava di conoscere una ragazza in autunno e camminare insieme a lei calpestando le foglie colorate, guardando il sole tramontare.

Ho sempre cercato il Monte, lo immaginavo, ma non conoscevo la strada, ho preso tutto e perso tutto per cercare di arrivare lassù.

Cercavo il Monte e sono diventato un eroe, quando qualcuno spezzò il cuore di un bambino de­ridendolo.

Cercavo il Monte fumando hashish, il viso schiacciato sul finestrino, nell’auto persa tra campi e argini.

Cercavo il Monte dentro pastiglie e sciroppi, camminando solo sotto i portici per aspettare qualcuno che non arrivava mai.

Cercavo il Monte infilando un ago dentro la vena, l’eroina ti sale in gola, un calore ti invade e tu non pensi più a niente.

Cercavo il Monte mendicando soldi e amore dietro le stazioni dei treni, guardando gli innamorati baciarsi, pensando alle lacrime di una madre e al silenzio incredulo e doloroso di un padre.

Quanti libri dimenticati nelle latrine, noi analfabeti non li leggeremo mai, l’inferno dei pazzi di cartone, anime inghiottite nel buco.

Bambini che vogliono scordare e senza lacrime si confondono nell’ urina.

Guardano i treni e pensano alla madre, anche l’ultima camicia è sporca di sangue e sperma.

Cercavo il Monte in comunità scappando e ritornando, urlando la rabbia, la paura e il dolore di avere perso il Monte.

Quando ero un bambino andavo in campeggio con i frati in montagna, era bello cantare attorno al fuoco, svegliarsi di notte per vedere l’alba tra le montagne, ogni gruppo aveva un fazzoletto di colore diverso, il mio era il rosso. Una ragazza mi ha insegnato a limonare e tutti i giorni ci baciavamo così forte che alla sera mi facevano male le guance.

Quando ero piccolo e mi ammalavo la mamma mi faceva stare a letto e ascoltavo la radio di papà, era piccola, blu e ruvida con la manopola bianca per cambiare stazione, la mia mamma mi portava la spremuta d’arancia e mi faceva le coccole.

Il papà ha sempre le mani sporche d’inchiostro perché lavora in una tipografia, parte alla mattina con il motorino bianco e ritorna la sera.

Io voglio tanto bene a mamma e papà, ai miei fratelli, a Gesù e alla mia gallina finta che mi tiene compagnia tutte le sere sotto le coperte.

1995

Cercavo il Monte davanti all’altare, la sposa è una donna dei campi, profuma di farina e indossa sempre un sorriso.

Cercavo il Monte cambiando i pannolini ai figli, inventando favole notturne, baciando la fronte calda di sogni e paure.

Cerco il Monte preparando lo zaino all’alba, davanti alla croce storta del Cimon della Pala, su ogni sasso che raccolgo e porto a casa, parlando alle foglie, tremando di paura appeso in qualche parete, perdendomi tra la nebbia di un bosco, inginocchiato dentro una chiesa a guardare il silenzio perdersi tra le candele.

“Cercavo il Monte fumando hashish, il viso schiacciato sul finestrino, nell’auto persa tra campi e argini“

2021
Il Monte

L’appuntamento è sempre alla stessa ora, le 17.00, una volta al mese, ogni due mesi, tre mesi, chissà.

La stanza profuma di incenso, sulla scrivania dei fogli bianchi e un libro: “Storia del Sufismo”.

Flavio è uno psichiatra in pensione, ci conosciamo da tanti anni, da quando frequentavamo un gruppo di poeti, musicisti, sognatori in cerca del Monte.

Poi la vita mi ha portato a incontrarlo al CSM della mia città, non è stato facile denudarmi dalle mie paure, fragilità e ossessioni, prendere farmaci e continuare a camminare, il lavoro, la famiglia, la vergogna, gli occhi degli altri.

Poi tutto passa e ognuno riprende la sua strada verso il Monte.

Flavio abita in una casa in mezzo ai campi, bianca con le finestre rosse, anche i suoi occhiali hanno la montatura rossa.

Lui mi ascolta e scrive qualcosa nel foglio bianco, poi sorride, sorride sempre mentre mi guarda, a volte non capisco quello che mi dice, sono preso dai fantasmi del mio passato che volano liberi nella mia testa, che mi frustano e lacerano il cuore.

E mi sento sciocco, un uomo di 57 anni, ma dentro di me sento che c’è ancora quel bambino che sognava l’amore e il suo Monte.

Un uomo che ama le montagne, si commuove davanti alle Pale di San Martino, un uomo che ama il vento freddo delle vette, la luce dei lampioni nella nebbia, la Parola di Dio, l’autunno e le sue malinconie, che ama scrivere poesie, abbracciare i fratelli che cercano il loro Monte ma hanno perso la strada, un uomo che scappa ma sempre ritorna a cercare i suoi passi.

Flavio mi guarda: «Tu hai il diritto di essere felice».

«Un uomo, uno sposo, un padre, un cercatore dell’infinito, tra le montagne, nella ricerca di Dio, del divino che c’è in te».

Io ascolto quelle parole in quella stanza fuori dal mondo e sto bene, pronto per ricominciare la mia ricerca del Monte.

Quando ero bambino facevo collezione di sassi, li chiamavo “sassi belli”, erano piccoli, trasparenti e colorati.

Con i sassi grandi costruivo una casa per un sasso piccolo che diventava un agente segreto.

Quando ero bambino alla domenica andavo a correre con mio papà, lui era un marciatore.

Io volevo fare le corse con tanti km ma lui mi diceva che non potevo, che se facevo le marce lunghe restavo piccolo, io mi arrabbiavo ma poi ero contento lo stesso.

Ho una fotografia, siamo io e il mio papà che corriamo, sorridendo, la mamma ha scritto dietro la fotografia: “Padre e figlio lungo la strada della felicità”.

 

Il Monte

Era un’alba di fine estate.

Qualcuno dorme in cucina.

Il caffè è buono.

Passa un pensiero, c’erano nove persone stanotte a casa e qualcuno aspetta un letto per recuperare i sogni perduti.

La normalità in un’alba di fine estate.

È così normale pensare di scrivere ogni cosa e non scrivere niente, come è bello il bosco, un raggio di sole, le nuvole che nascondono le valli.

E questa aria che profuma di autunno con i suoi sbalzi d’umore, le inguaribili dolci malinconie.

Per ogni pensiero che cade, tappeto di foglie morte per proteggere e riscaldare la terra che accoglierà nuovi passi e vecchi silenzi.

Bello vedere i monti e un figlio ritornare bambino tra quei sassi così grandi,
io guardo e scrivo con gli occhi, con i piedi.

Respirando forte per assecondare il cuore che pulsa in gola.

L’autunno è arrivato.

Ho corso per arrivare in cima, un bimbo curioso di aprire il regalo di Natale, ho corso nel bosco per arrivare a casa, abbandonare lo zaino e tuffarmi nel mare freddo di un giorno di fine estate, bello camminare con un figlio e Andrea.

“E questa aria che profuma di autunno con i suoi sbalzi d’umore le inguaribili dolci malinconie“

Il Monte

Flavio tanti anni fa mi spiegò che quando nasce un figlio l’equilibrio di una coppia cambia, cambiano le dinamiche, le priorità.

Quando nasce il secondo figlio l’equilibrio creato con il primo cambia, le dinamiche, le priorità.

Quando nasce il terzo figlio cambia l’equilibrio creato con il secondo, le dinamiche, le priorità.

Quando nasce il quarto figlio l’equilibrio creato con il terzo cambia, le dinamiche, le priorità.

Quando nasce il quinto figlio l’equilibrio creato con il quarto cambia, le dinamiche, le priorità.

Cambia tutto, il Monte cambia, cambiano i sentieri, il tempo, lo zaino, gli scarponi.

Potrei parlare di un autunno carnale che gioca nel pensiero mattutino.

Diventare buio per rubare l’iridescenza del tuo viso.

Plasmare ogni fiore nella retina e donarti il mio sguardo.

Diventare luna ed aspettare l’eclissi dei nostri corpi con l’ansia di un adolescente.

Impersonare l’antico luminaio ed accendere ogni teatro per parlare di Te.

Ma io volevo solo dirti che ti Amo perché baci ancora le mie labbra,
confezioni caldi maglioni con le matasse freudiane che lascio ai tuoi piedi.

Mi trovi sempre seguendo il mio cronico disordine, collezioni promesse mancate
con dolce rassegnazione, solo questo volevo dirti.

Questa estate se troverò gli scarponi giusti vorrei salire sul Focobon nelle Pale di San Martino.

Oggi è il 23 gennaio 2022 e dopo 16 giorni di quarantena siamo negativi dal Covid, è tutto così strano, uscire, camminare per la strada, incontrare persone, scrivere, pensare se domani avrai la forza per ritornare in montagna, di camminare nuovamente come prima, ora che ti stanchi subito dopo avere camminato per i campi.

Ma il Monte mi aspetta, qualsiasi volto abbia, quale sia il sentiero da percorrere, cercando di non sbagliare strada ma di seguire sempre il cuore e quando sono stanco alzare gli occhi e guardare il cielo.

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Andrea Nosella

Andrea Nosella

Ho una scrittura incomprensibile, cammino e scrivo, lavoro in una farmacia e scrivo, sono sposato e scrivo, a volte mi perdo poi ritorno quasi sempre, ho 5 figli e scrivo, scrivo anche i miei sorrisi.


Il mio blog | Altitudini è la mia rivista digitale. Seguo altitudini perché è uno spazio libero dove leggere e scrivere di montagna e non solo.
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1 commenti:

  1. Luca Luca ha detto:

    Sei il nostro Tarkovsky ?
    Ed è un complimento!

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