Il Regno del Monte Senza Vetta (foto Sara Pajossin)
testo e foto di Francesco Mossolin / Scandicci (FI)
Quel mattino Jonathan si svegliò prima dell’alba. Prese lo zaino, socchiuse piano la porta di legno e partì.
L’aria pungente annunciava l’arrivo dell’inverno, ma in quei giorni il sole aveva portato sulla valle una luce gentile. I prati erano ancora costellati di fiori vivaci, mentre tutto intorno i boschi iniziavano già a rivestirsi di splendidi colori autunnali.
Ultimamente il suo desiderio di trovare il Monte Senza Vetta era diventato un’ossessione. Da mesi gli capitava di sognare un vecchio pezzo di legno appeso a un grande larice, con incisa una freccia e una scritta appena leggibile: “Per il Monte Senza Vetta”. Era anche convinto di aver visto quel cartello in una delle sue escursioni, ma quando aveva chiesto informazioni ai montanari del paese, nessuno sembrava saperne nulla. Solo un vecchio dall’aria distaccata, con un lieve sorriso aveva risposto: «Cercalo… Ne vale la pena!».
Il sentiero che conduceva al grande larice iniziava alla fine dei campi coltivati. Si addentrava in un fitto bosco di abeti rossi, costeggiava un chiassoso torrente per poi inerpicarsi su, lungo la costa della montagna. Solo dopo un’ora di ripida salita la pendenza si faceva più dolce e il respiro più disteso; gli abeti lasciavano gradualmente posto ai larici e al pino mugo con i suoi rami flessuosi.
Era proprio nel punto in cui la piccola vallata si apre e si stende ai piedi delle alte cime che si trovava il larice. Jonathan percorse gli ultimi metri colmo di entusiasmo, lo raggiunse e scoprì che del cartello… non vi era alcuna traccia. Si guardò intorno più e più volte, ma di indicazioni per il Monte Senza Vetta, nessuna.
Fu preso dallo sconforto: stava forse vaneggiando? Come aveva potuto dare tanto credito a uno stupido sogno? Non sapeva cosa fare. Sedette sotto il grande larice con la testa tra le mani e cominciò a riflettere. I minuti passarono e l’intenso silenzio della montagna avvolse la sua mente.
Improvvisamente una voce dentro di sé tuonò chiara: «Continua la ricerca!». Si alzò e decise di procedere nella direzione indicata dal misterioso cartello del sogno. S’arrampicò agile tra le prime rocce incastonate tra rododendri vigorosi e fitti intrecci di chiome del pino mugo, ombreggiate qua e là da maestosi larici. Era risoluto. Avanzava fuori sentiero a passo deciso. D’un tratto però inciampò in una grossa pietra e finì ruzzoloni diversi metri più a valle, colpendo con la testa il tronco di un larice. Un dolore acuto. Il buio.
Jonathan non si accorse che un uomo si era avvicinato al suo corpo apparentemente senza vita; con gesti lenti e misurati aveva preso un po’ d’acqua e l’aveva versata sul suo viso. In un attimo il giovane si sentì richiamato nel corpo, aprì gli occhi e vide, a una spanna dal suo naso, lo sguardo dell’uomo fisso nel suo. Sobbalzò. Se non fosse per le innumerevoli rughe che solcavano quel volto, avrebbe giurato di trovarsi di fronte a sé stesso. Due profondi occhi scuri lo osservavano silenziosamente. Sembravano poter penetrare gli angoli più reconditi della sua mente. In quello sguardo non c’era giudizio, solo un’infinita comprensione e un’immensa dolcezza.
«Vieni, andiamo» disse il vecchio, «c’è ancora molta strada… il Monte Senza Vetta è lontano».
«Conosci il Monte Senza Vetta?!», esclamò Jonathan con stupore.
Il Regno del Monte Senza Vetta (foto Sara Pajossin)
Il vecchio lo fissò intensamente e si rivolse a lui con tono misterioso: «La montagna rivela i suoi segreti solo a chi sa cercarli. Talvolta ci chiediamo se ciò che viviamo sia la realtà o il frutto di un sogno… Ti dirò questo. Ogni singola cosa che puoi immaginare è già realtà».
Il vecchio stava per partire, ma all’improvviso si arrestò e volgendosi verso Jonathan chiese: «Cosa pensi di trovare sul Monte Senza Vetta?».
Jonathan rimase perplesso di fronte a una domanda tanto ovvia, a cui però non sapeva rispondere.
«La montagna è la mia unica vera amica» borbottò. «Quando sono triste e arrabbiato il solo modo che ho per stare meglio è scalare le alte cime di questi monti… Lassù, nel silenzio e nella quiete sento le mie emozioni calmarsi e ogni cosa riprende la giusta dimensione. Forse è questo che cerco… Sciogliere un dolore che mi porto dentro».
«Capisco» disse il vecchio. E voltandosi, prese a camminare.
Marciarono per diverse ore, poi la luce del giorno si fece d’ambra e il silenzio riempì i monti. Stava calando la sera. I due compagni di cammino accesero un fuoco e improvvisarono un bivacco sotto alcune grandi rocce bianche, ascoltando la magica quiete della notte.
Il mattino seguente l’aria era frizzante e i primi raggi di sole che spuntavano dalle cime invitavano a riprendere il viaggio.
«Quanto manca? Oggi arriveremo al Monte Senza Vetta?» chiese Jonathan dopo alcune ore.
«Dipende da te, ragazzo mio» rispose il vecchio senza nemmeno voltarsi.
Jonathan non capiva. In che senso dipendeva da lui? Stava camminando troppo lentamente?
Quando il sole era alto in cielo si avvicinarono a un bellissimo picco di roccia calcarea, proprio nel mezzo di un altopiano. Con le sue sfumature rosa risplendeva come una pietra preziosa, custodita nella valle come in uno scrigno. Jonathan ne era affascinato. Pensò di aver finalmente raggiunto la destinazione del suo viaggio. In quello stesso momento il vecchio si fermò, si girò verso di lui e gli chiese: «Perché sei tanto arrabbiato con la vita?».
Quella domanda lo gettò nello sgomento. Nessuno, anche tra i suoi più cari amici, sapeva quanto talvolta il suo cuore si stringesse in un profondo malessere. Si sentiva oppresso dalla famiglia che viveva in modo superficiale pensando solo al benessere materiale, uno stile di vita in cui la sua profonda sensibilità era giudicata come sintomo di debolezza. Tutto ciò lo faceva sentire diverso, isolato e sfortunato.
«La vita è ingiusta e senza senso… A volte è davvero insopportabile!» riuscì a dire appena balbettando.
Lo sguardo dell’uomo si posò dolcemente su di lui.
«Anche la Montagna può essere così severa da apparire ingiusta, eppure è attraverso la sua severità che forma il carattere di chi vuole conquistarla» gli disse con profonda saggezza.
Poi, indicando il grande e luminoso picco, aggiunse: «Se vuoi scalare una vetta sei tu che devi adeguarti alle sue Leggi. La montagna non cambia per l’uomo. Solo l’uomo che rispetta la montagna può capirne l’essenza e vedere che in questa sua grande severità in realtà è racchiuso un grande amore».
Jonathan non capiva in che modo tutto questo avesse a che fare con i suoi turbamenti, ma sentiva che quelle parole creavano nella sua mente un percorso da seguire per trovare, forse un giorno, una risposta ai suoi tormenti interiori. Non scalarono il picco, ma ripresero il cammino.
Passarono diversi giorni. Jonathan e il vecchio continuarono il loro viaggio attraversando ora vasti altipiani e boschi racchiusi in cristalli di ghiaccio, ora prati in fiore e valli in cui affioravano limpide sorgenti e bacini d’acqua che sembravano contenere l’immensità del cielo. Jonathan iniziava a provare un inspiegabile affetto per quest’uomo sconosciuto, che a passo lento ma sicuro lo stava portando per monti che non aveva mai visto, dove tutto sembrava in perfetto equilibrio e dove nessun essere umano sembrava aver mai messo piede. Ogni tanto gli chiedeva se stessero per giungere al Monte Senza Vetta, ma la risposta era sempre la medesima: «Dipende da te, ragazzo mio».
Il grande e contorto Larice (foto Francesco Mossolin)
Tra valli e altipiani senza tempo (foto Francesco Mossolin)
Giorno dopo giorno, durante le pause di quel lungo marciare, il vecchio insegnava a Jonathan il nome dei monti che attraversavano, degli animali che vedevano e le proprietà delle piante che incontravano. A Jonathan sembrava di trovarsi in una dimensione senza tempo. La mattina si svegliavano presto e contemplavano il sole sorgere all’orizzonte; la sera si perdevano nella bellezza sconfinata del cielo stellato. Al calore del fuoco Jonathan ascoltava il vecchio raccontare leggende di popoli antichi e sentiva rinascere dentro di sé la serenità e la spensieratezza che aveva da bambino.
Una sera, accanto al crepitio del fuoco, il vecchio guardò a lungo Jonathan negli occhi e gli chiese: «Dimmi, a cosa servono i sogni?».
«I sogni per me sono come la vetta di una montagna. Sono lassù, in alto, stagliati contro il cielo, lontani, inarrivabili… Sono loro a costringerti ad iniziare qualsiasi viaggio».
«Proprio così, ragazzo mio. I sogni sono come la vetta di una montagna».
Nessuno dei due aggiunse una parola. Quella notte Jonathan si addormentò con l’eco di questa condivisione, che ancora risuonava nella sua mente.
Il giorno dopo il vecchio pose una nuova domanda: «Ragazzo mio, se pensiamo che i sogni siano la vetta di una montagna, come fare per realizzarli?».
«Compiendo il primo passo!» rispose istintivamente Jonathan.
«Giusto!» affermò il vecchio. «Il primo passo è il più importante… La maggior parte delle persone non realizza i propri sogni perché non compie il primo passo!».
I giorni scorrevano in un susseguirsi di scoperte, dialoghi e riflessioni fino a perdersi nella silenziosa contemplazione dei paesaggi che si aprivano ogni istante dinanzi ai loro occhi.
Una sera, quando il sole stava già incontrando la linea dell’orizzonte, Jonathan chiese all’improvviso: «Ma siamo ancora alla ricerca del Monte Senza Vetta?».
Si rese conto in quel momento che da giorni non ci stava più pensando… Aveva completamente dimenticato qual era la meta del loro viaggio!
Il vecchio si voltò verso Jonathan e sorridendo rispose: «Ti faccio una domanda che ti sembrerà strana, ragazzo mio. Dove pensi che siamo?».
«Non saprei… Io ti seguo, giorno dopo giorno, tu sei la guida…».
«Siamo dentro di te… da giorni camminiamo nel regno della tua anima, quel luogo che gli antichi montanari chiamavano il Regno del Monte Senza Vetta. Un posto immaginario, ma anche reale».
«Come dentro di me?!» esclamò Jonathan sorpreso «Sono già morto?!».
«Oh, no… Il tuo percorso è ancora lungo… Ma prima di tornare alla vita reale devi comprendere il mistero che cela il Regno del Monte Senza Vetta».
In quel preciso istante il volto del ragazzo si illuminò. L’ultimo raggio di sole fece brillare i suoi occhi. Aveva capito…
«Il Monte Senza Vetta» disse Jonathan rapito da quella rivelazione «proprio come dice il suo nome, non ha una vetta, non è nemmeno un monte. È la comprensione che più che raggiungere la vetta, cioè realizzare i nostri sogni, quello che conta davvero è il viaggio, la capacità di vivere ogni singolo passo con curiosità, con il cuore ricolmo di gratitudine e gioia. È diventare consapevoli che il Viaggio stesso è la Meta».
«Molto bene mio caro ragazzo!» disse il vecchio con un intenso sorriso, «questo è vero, ma è solo una parte del segreto del Monte Senza Vetta… Siediti di fronte a me, Jonathan».
I due si sedettero e si guardarono a lungo negli occhi. Jonathan avvertì un calore svilupparsi nel centro del suo petto, finché il vecchio disse: «Ora chiudi gli occhi e cerca di concentrare la tua mente per capire qual è il desiderio racchiuso nel tuo sogno di raggiungere il Monte Senza Vetta».
Jonathan chiuse gli occhi, lasciò la mente calmarsi seguendo il ritmo del suo respiro. Iniziò a veder scorrere immagini di sé da bambino, poi da adolescente. Sentì che in quel passaggio era successo qualcosa: crescendo, aveva dimenticato chi fosse veramente.
Poi vide apparire davanti a sé una montagna luminosa e splendente, una vetta che si slanciava maestosa verso il Cielo, imponente, bellissima. Scosso da un sussulto, realizzò che sulla cima di quella montagna viveva la parte di sé che aveva dimenticato… Comprese che lui era la vetta.
Aprì gli occhi e con grande stupore si trovò sotto al grande larice. Il vecchio era sparito, tutto intorno regnava un profondo silenzio. Calde lacrime bagnavano le sue guance.
La voce del vecchio risuonò lieve nel suo cuore: «I sogni altro non sono che il nostro più profondo desiderio di ritrovarci. Prima sogniamo, poi ci mettiamo in viaggio. Ma il viaggio acquisisce il suo vero senso solo quando comprendiamo che la vera meta siamo noi stessi. Ogni volta che scali una montagna lo fai per ritrovare l’essenza del tuo essere. Ecco il segreto del Monte Senza Vetta: La Montagna è il Viaggio, Tu sei la Vetta».
Grazie Francesco è una storia bellissima che appartiene a ciascuno di noi, siamo sempre alla ricerca di stimoli nuovi che ci rendano felici pensando che solo all’ esterno si possa trovare la felicità invece è tutto dentro di noi solo che nn ce ne rendiamo conto.
Cara Daniela,
grazie di cuore per le tue parole… è proprio così… la felicità la possiamo trovare solo dentro di noi…
Grazie Francesco è un racconto bellissimo che ci fa capire di nn cercare stimoli esterni x rincorrere la felicità abbiamo già tutto basta guardarci dentro
Grazie di cuore cara Daniela!
Delicatissimo racconto quello che Francesco ci dona con tanta semplicità. L’amore per la montagna che ti ha visto nascere e crescere si trasforma, diventando paradigma di un percorso di vita prezioso, che può essere quello di ciascuno di noi. L’importante è non rinunciare a sognare ed avere il coraggio di mettersi in cammino. Un racconto da leggere più volte ed interiorizzare nelle immagini, da rivisitare nel silenzio e nella meditazione. Grazie!
Cara Laura,
conoscendo il tuo amore per la scrittura le tue parole non possono che riempirmi di gioia ed emozione…
grazie per aver colto tanta profondità nel racconto…
Grazie Francesco e complimenti…mi piace molto la frase….il viaggio e’ la meta . Ogni passo è una meta durante i miei cammini grazie
Grazie Massimo per il tuo commento… e si, anche per me è così… ogni passo è una meta… e non finiamo mai di stupirci…
Ecco alcune pagine autentiche, leggere, sagge, in cui è bello sostare come sotto un larice o davanti l’acqua di un lago.
Caro Mauro, grazie infinite delle tue parole così essenziali e profonde, offerte con la semplicità che appartiene alle anime sagge…
Il viaggio stesso è la meta…. molto bello Francesco, ti aiuta a capire certe cose e quindi a riflettere…. grazie
Marcella
Grazie cara Marcella, si le parole dovrebbero sempre servire per far riflettere… o almeno per permetterci di tornare dentro di noi…
Un racconto in cui ognuno di noi ritrova il proprio posto nel cammino verso la propria Vetta e magari si unisce al silenzio della Natura e alla saggezza degli alberi. Complimenti a Francesco per l’ottima scrittura.
Grazie caro Dario per il tuo commento, tu che conosci così bene il Linguaggio della Natura…
Un racconto profondo e complesso nella sua semplucita’, un percorso spirituale che appartiene ad ogni essere umano capace di comprendere. Grazie Francesco per questo contributo alla consapevolezza condivisa.
Grazie Marilena per le tue parole, è bello vedere che le persone riescano a cogliere ciò che si desidera trasmettere tramite un semplice racconto…
Storia vecchia come la vita e fresca come la consapevolezza trovata.
Ogni età, ogni essere se cammina verso di sé, può trovare la pace. Tu, caro Francesco, ci prendi per mano e ci porti con te in questo percorso.
Grazie di cuore cara Rosanna, è la Vita e la Natura che ci prendono per mano alla scoperta di noi stessi… noi non dobbiamo che seguirne il flusso….
Auguro ad ognuno di riuscire a trovare la propria vetta. Questo breve racconto ci dà la spinta giusta per poter compiere il primo passo e per poterci ritrovare all’interno del viaggio dentro e fuori noi stessi.
Anche a te Virginia, che tanto mi hai sollecitato a partecipare, auguro di trovare la tua vetta… la tua essenza e il tuo cammino…