Alla fine dell’Ottocento la Val Grande era una delle mete preferite dai soci della Sezione Verbano del Club Alpino Italiano. Poi nel secondo dopoguerra fu un po’ dimenticata, frequentata da pochi temerari, complice il progressivo abbandono di alpeggi e sentieri.
Negli anni ’60 quasi nessuno del CAI conosceva la Val Grande. Questo te lo posso assicurare. Anche il Soccorso alpino. Un amico che ha fatto alcune escursioni con me era il dott. Mario Lambrini, farmacista di Pallanza e Suna. Aveva fatto la traversata della valle con il papà di Elisa Longo Borghini di Ornavasso, oggi campionessa di ciclismo. Poi c’erano stati gli alpinisti di Intra (in testa Tino Micotti). Però tutti un po’ in autonomia, senza promuovere il territorio o incidere su di esso. A parlarne in un articolo sulla rivista “Cooperare” del Centro Studi per la Cooperazione fu anche il giornalista di Varese Roberto “Robi” Ronza, poi importante collaboratore della Regione Lombardia. Successivamente Ronza ha pubblicato un romanzo sull’Alto Verbano. L’ho conosco molto bene. Inoltre c’è stato – ma molto più tardi – il bravissimo Ivan Guerini, credo il primo in Italia a fare il 7° grado, che ha scritto anche due libri sulle sue imprese in Val Grande. L’ho conosciuto a Milano e si allenava percorrendo con le braccia il cornicione di casa, a 20 metri di altezza. Queste sono solo alcune citazioni che mi ricordo. Naturalmente non ho fatto cenno ai grandi personaggi del CAI Verbano dell’Ottocento.
Tu vieni considerato, a buon diritto, “il padre” del parco nazionale. Ma da sempre riconosci un ruolo fondamentale a Mario Pavan, forse il primo a riconoscere l’importanza naturalistica della Val Grande.
Il prof. Pavan, precursore dell’ambientalismo, nel 1965 aveva pubblicato un articolo sul Corriere della Sera attinente alla riserva del Pedum, dal titolo “Rispettando la natura l’uomo difende se stesso. Nasce nel territorio del comune di Cossogno la prima riserva naturale integrale dell’arco alpino italiano”. L’ho conosciuto a Pavia dove tenevo una conferenza sulla Val Grande all’università dove lui insegnava e come assistente aveva il figlio di Fanfani. Infatti era stato ministro dell’ambiente in uno dei governi Fanfani. In quel contesto aveva approvato una serie di protocolli facendoli accettare anche dai governi europei (Russia compresa). Ma di questo più nessuno si ricorda. Pavan mi aveva scritto una lettera di apprezzamento per il libro “Val Grande ultimo paradiso”.
Un titolo di successo per un libro molto amato dai frequentatori Valle e non solo, ristampato e riedito più volte. Proprio in chiusura dell’articolo del 1971 scrivi della Val Grande come di un «piccolo eden dove si conserva intatto e incontaminato l’equilibrio fra tutte le espressioni del mondo vivente e del mondo inanimato… ». Eden, paradiso. La definizione “ultimo paradiso” ha quindi preso forma fin dalle tue prime “esplorazioni”?
Il titolo mi è venuto in mente pensando alla Val Grande come paradiso ambientale. L’ultimo, appunto, ancora esistente. Poi ho pensato che – come rilevi tu – c’erano anche gli alpigiani e le loro fatiche. Tutt’altro che paradisiache. Il capitolo delle loro testimonianze è sicuramente il più interessante del libro, insieme a quello dei disboscamenti. E oggi, come sai, più che l’ambiente la natura e i grandi silenzi, la Val Grande è “l’antropologia dell’estremo”, con l’esigenza di salvaguardare le relative testimonianze che ci sono ancora, ma per poco.
Grazie Teresio per aver soddisfatto alcune delle mie curiosità. Spero che si possa proseguire la chiacchierata vis-à-vis, come suggerisci tu. Mi piacerebbe approfondire l’interessante tema dell’antropologia dell’estremo. Un carissimo saluto da Belluno.
Grazie a te Fabio, è stato un piacere ricordare gli anni della mia scoperta della Val Grande. A Belluno sono stato varie volte. La prima nel 1970 a presentare una proiezione sul Rosa. Allora c’era come comandante provinciale della Finanza il maggiore Carlo Valentino, ex comandante della scuola alpina della Finanza di Predazzo, poi diventato generale. Ci sono stato ancora nel 1994, con il Consiglio direttivo del CAI, ospite della Brigata alpina Cadore. Ho conosciuto casualmente l’allora tenente colonnello Antonio Li Gobbi, figlio di Alberto, quest’ultimo generale dell’esercito, medaglia d’oro della Resistenza e partigiano anche in Val Strona, nel Verbano e nell’Ossola, poi diventato comandante del settore sud della Nato. È sepolto nelle nostre terre verbanesi, a Oggebbio. Poi a Belluno sono venuto per il Camminaitalia, nel 1995. La ricordo come una bella città alpina.
Bravo Fabio, come sempre sei profondo e preciso nelle tue ricerche e negli scritti che proponi. Un grande grazie anche a Teresio, magistrale conoscitore dell’antropologia alpina della Val Grande. Fine e inarrivabile scrittore che si caratterizza sempre per la sua disponibilità e modestia.