Saggio

I MARI TROPICALI DI CORTINA #3

Monsieur Déodat de Dolomieu e la straordinaria avventura dei mari tropicali di Cortina raccontati al Museo Zardini.

testo di Francesca Nemi

Mostra temporanea su Déodat de Dolomieu al Museo Zardini, Cortina d’Ampezzo (@Cortina Marketing)
17/10/2021
7 min
Sono gli anni pieni dell’Illuminismo (1715–1789), oltreoceano nasceranno gli Stati Uniti d’America prima e la Costituzione Americana dopo; a Santo Domingo si consumano le prime rivolte per l’abolizione della tratta atlantica degli schiavi, James Cook scopre le Hawaii (1778).

[segue dalla 2a parte]

E’ la fine di un secolo scosso dalle trasformazioni della prima rivoluzione industriale. Dirompono, accanto a alterazioni e fermenti rapidi e profondi, nomi come quelli di James Watt, che metterà a punto la macchina a vapore (1769), Eulero, Diderot, Kant; nasce la mongolfiera (1783), e poco dopo, durante un viaggio in barca sul Lago Maggiore, Alessandro Volta scoprirà il gas metano e poi la pila. In Francia crepitano grida di ribellione e uguaglianza: è Rivoluzione! E un avvicendarsi di sconvolgimenti politici, sociali e culturali estremi.

Quello di allora era, insomma, un altro mondo. Ma le storie sono tante. E noi dicevamo dei francesi. Proprio negli anni della Presa della Bastiglia (1789), sempre in Europa, e più precisamente in Italia, un aristocratico francese, avvenente, risoluto ma soprattutto libero, era in viaggio in lungo e in largo per le Alpi.

Aveva 39 anni monsieur Déodat. E quella passione per l’esplorazione non l’avrebbe mai persa.
Nato nel 1750 in un villaggio dell’Ancien Régime, proprio al confine delle province del Delfinato francese e del Ducato di Savoia, Déodat si permea degli ideali della Rivoluzione Francese (1789-1799). Assertore di idee rivoluzionarie ma antigiacobino, vivrà una vita teatrale che lo porterà ad esser graziato due volte e a uscire illeso, nonostante le origini nobiliari, persino dagli avvenimenti della Rivoluzione.

La sua anima vagabonda, irrequieta ma razionale, lo guiderà per lunghi decenni sotto le stelle, e poi vascelli, destrieri e interminabili vie con la sola forza delle gambe. La sua storia è ruvida come le montagne che prendono nome da lui. A 25 anni studia la formazione del salnitro nelle miniere della Bretagna e poi ancora il granito rosso in Corsica, le colonne di basalto in Portogallo, la Meseta spagnola, la Calabria coi suoi altipiani, i Pirenei. La sua grande passione sono però i vulcani. Visita Etna, Stromboli e Vesuvio. Ma il destino si diverte a mescolare le carte e così l’aristocratico francese innamorato di vulcani diventa invece celebre grazie alle Alpi.

“… La mia immaginazione aveva bisogno di spazi più ampi, le mie cure cercavano altri oggetti, i miei gusti altri piaceri. Così, ogni anno, mi lanciavo verso qualche catena di montagne, e salivo sulle sue sommità a cercare quelle emozioni profonde, che procura sempre la vista degli orizzonti vasti e delle grandezze della natura. Lassù̀ mi abbandonavo a meditare sulla formazione del globo, le rivoluzioni che ha subìto, le circostanze che hanno modificato le sue forme. Via via che mi spingevo in alto e allargavo lo spazio dei miei pensieri, le mie convinzioni si facevano più forti: il mio orizzonte incontrava sempre meno ostacoli”.
Déodat de Dolomieu – Scritto in prigione a Messina, luglio 1799

Mostra temporanea su Déodat de Dolomieu al Museo Zardini, Cortina d’Ampezzo (Cortina Marketing)
Mostra temporanea su Déodat de Dolomieu al Museo Zardini, Cortina d’Ampezzo (Cortina Marketing)

Quella “nuova” roccia: la dolomia
Precursore della geologia, brillante scientificamente, la sua vita fu un’unione epica di fatti. A quei tempi la vecchia Europa conservava ancora i segreti di terre inesplorate. Bastava salire in quota per trovare mondi privi di vie di collegamento, semplici e poverissimi, e lunghe fatiche da affrontare: spostamenti a piedi, a dorso di cavallo o di mulo, cibo incerto, stanchezza e freddo. E poi dirupi, ghiacciai, vette, gole. Plaghe immobili di un mondo immoto che altrove si affrettava a cambiare troppo in fretta.

Ma Déodat non teme esitazioni guidato com’è dal desiderio di conoscere le meraviglie naturali; ha animo colto, gusto per il sublime, e davanti a quei muri di rocce così simili a cattedrali in rovina impara ad osservare i grandi fenomeni naturali. Sa porsi interrogativi col metro dei grandi scienziati.
E’ il 1791 quando scrive all’amico Picot de la Peyrouse in merito alla scoperta di una nuova roccia: “Infine, diciotto mesi fa (cioè nell’agosto 1789, ndr) durante alcune escursioni mineralogiche nelle montagne […] ho trovato una quantità immensa di quelle stesse pietre calcaree che non mostrano alcuna effervescenza a contatto con gli acidi”.

Fu poi Théodore Nicolas De Saussure1, a cui Dolomieu aveva inviato i campioni di quella “nuova” roccia, a battezzare, in onore dell’amico, dolomite il minerale e dolomia la roccia che lo contiene.
Di fatto però, occorsa in un’Europa di anni tumultuosi tra dinamiche rivoluzionarie prima e Napoleone poi, la scoperta della dolomia non trovò subito particolare diffusione.
Furono due viaggiatori britannici, solo molti decenni dopo, a pubblicare il resoconto del loro viaggio sulle Alpi Orientali con il nome di “The Dolomite Mountains2, cioè “le montagne di dolomia”. E’ il 1864, settantatré anni dopo la lettera di Déodat all’amico Picot.

The Dolomite Mountains, volume del 1864.

Déodat de Dolomieu in mostra al Museo Zardini
Il lungo cammino di Déodat de Dolomieu è stato riproposto in un’esposizione temporanea presso il Museo Paleontologico “Rinaldo Zardini” di Cortina d’Ampezzo, promossa dalla Fondazione Giovanni Angelini – Centro Studi sulla Montagna di Belluno e dalla Fondazione Maria Giussani Bernasconi di Varese, in collaborazione con le Regole e il Comune di Cortina d’Ampezzo.

L’esposizione, dedicata a Luigi Zanzi (1938-2015), studioso di Dolomieu, presentava un cospicuo corredo iconografico di documenti originali, stampe, taccuini di viaggio e antiche carte geografiche, senza dimenticare un prezioso manoscritto autografo di Dolomieu sul suo viaggio nelle Dolomiti. A completare la mostra un volume curato da Paolo Zanzi, una sorta di racconto autografo di Dolomieu dal titolo: “Déodat de Dolomieu. Curiosando tra i taccuini di viaggio e nella vita avventurosa del padre delle Dolomiti”.

“Farei però bene a restare qui a casa, dove le mie sorelle mi riempiono di cure e di testimonianze di affetto, e non corro il rischio di morire di fame. Appartiene però alle bizzarrie della natura umana il preferire i disagi, le agitazioni e le fatiche di ogni genere alle dolcezze di una vita tranquilla. Mille riflessioni, una più fondata dell’altra, sono continuamente ripetute dalle mie buone sorelle per trattenermi qui, ma, simile, al piccione della fiaba, io ascolto, non rispondo, e… parto”.
Déodat de Dolomieu – da esposizione temporanea museo Zardini, Cortina d’Ampezzo

Rinchiuso nelle galere di Taranto e Messina per ventuno mesi
Una vita incredibilmente avventurosa quella del padre delle Dolomiti, che venne infine interrotta dalla prigionia; Dolomieu aveva infatti partecipato alla spedizione di Napoleone in Egitto, ma al ritorno naufragò e rimase imprigionato nelle galere di Taranto e Messina per ventuno mesi. Lo scienziato esploratore ritrovò la libertà solo dopo la vittoria dell’esercito francese a Marengo: la sua liberazione fu tra le clausole imposte nel trattato di pace di Firenze. Molto scosso dalla prigionia morì in casa di una sorella nel 1801, a soli 51 anni, dopo un ultimo viaggio di studio nelle Alpi, l’ultimo di molti che l’esposizione temporanea ricostruisce sulla scorta di taccuini ritrovati presso l’Accademia delle Scienze a Parigi.

riproduzione dello studio di Rinaldo Zardini al Museo di Cortina (ph. Giacomo Pompanin)
Rinaldo Zardini (Archivio Regole d'Ampezzo)

Rinaldo Zardini a caccia di fiori e fossili
Ma quella del comandeur francese non è la sola avventura straordinaria che il museo Zardini di Cortina racconta:

“Nel 1935 trovai casualmente una pietra insolita nel Rio Boite. La misi in un armadio e chiesi a tutti di che tipo di pietra poteva trattarsi. Un botanico inglese mi spiegò che poteva trattarsi esclusivamente di un corallo fossilizzato. Questo stimolò la mia curiosità. Per mesi mi spostai da una valle all’altra per ritrovare il punto da cui poteva provenire questo corallo. Un giorno d’autunno mi sedetti ai piedi del Faloria per riposarmi. Quando guardai per terra, mi vidi circondato ovunque da lamellibranchi, ammoniti e molti altri organismi fossilizzati. Mi sembrava di essere sulla riva di un mare. Tutti i fossili erano così ben conservati come se qualcuno avesse fatto in modo di proteggerli. Coralli e spugne sembravano fossero appena usciti da un mare tropicale…”.
Rinaldo Zardini – Cortina d’Ampezzo (1902-1988)

E’ infatti su queste stesse cime note al mondo col nome del grande Déodat che si rammenta ancora oggi la vita riaccesasi anche dopo la grande estinzione di massa4; è nelle pieghe aguzze di rocce, fissata lì tra depositi di sedimenti finissimi e lembi di piante fossili. E’ nelle lingue oblique di antiche lagune e nell’austerità severa di torri e pinnacoli. E’ tutto ciò che resta di antiche barriere coralline e oscure piane abissali un tempo ricchissime di fanghi rossi e ammoniti.

Centosessantanove milioni di anni depositati nella conca ampezzana pietrificati ed esposti al Museo di Cortina, risultato dell’appassionata ricerca di Rinaldo Zardini (1902-1988). E’ il 1920 quando il giovane ampezzano, ritornato a Cortina meno che ventenne dopo anni di studio a Zurigo, comincia subito ad andare a “caccia” di fiori3; trova il suo primo fossile e non smette più le sue appassionate ricerche.

Nel 1935, è sul greto del Boite quando scopre “lo strano sasso”, un corallo fossile e ne rimane subito entusiasta. Cominciano così da quel momento quelle ricerche che gli daranno il rispetto dei paleontologi di tutto il mondo.
Bambole di Travenanzes, brachiopodi, echinodermi che lo Zardini estrae uno ad uno dalla matrice rocciosa, rocce contenenti piante pioniere di 243 milioni di anni fa, ammoniti srotolate, gasteropodi grossi come capocchie di spillo, megalodonti. Oltre ventimila gli esemplari di fossili presenti nel Museo, appartenenti a ben mille specie diverse.

L’appassionato paleontologo congettura sul clima, l’ambiente e il periodo in cui sono vissuti i suoi amati fossili. E’ capace di intuire gli innalzamenti e i corrugamenti di quegli enormi complessi rocciosi, immagina i potentissimi movimenti tettonici centinaia di milioni di anni prima, eruzioni vulcaniche, isole che nascono e poi quel mare tropicale caldo, placido, il paesaggio dolomitico che cambia ancora una volta drasticamente, barriere coralline che scompaiono, estesi fondali pianeggianti, fortissime correnti oceaniche e i vigorosi torrenti che trasportano al mare i detriti modellando così le spiagge.

Ricercatore affiliato allo Smithsonian Institution di Washinton, fu insignito dalla Facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Modena della laurea honoris causa in Scienze Naturali perché: «Zardini ha superato di gran lunga la soglia che divide il collezionista dallo scienziato».

“La montagna e quanto essa custodisce ebbe da lui una dedizione totale. Visse interamente il suo sogno, come un ragazzo, quale egli rimarrà fino alla morte, avvenuta il 16 febbraio 1988.”
Biografia di Rinaldo Zardini – Musei delle Regole d’Ampezzo.

_____
1. Théodore Nicolas De Saussurefu figlio del celebre Horace-Bénédict de Saussure a cui tradizionalmente si attribuisce la nascita dell’alpinismo l’8 agosto 1786, giorno della prima ascensione del Monte Bianco;
2. “The Dolomite Mountains” di Josiah Gilbert (naturalista e botanico) e George Cheetham Churchill (disegno e acquarello). Scritto nel 1864 consacra definitivamente le Dolomiti che vengono inserite nel “Tour alpino”, una variante “romantica” del “Grand Tour” che tradizionalmente veniva compiuto per ragioni educative dalle classi agiate britanniche. Le immagini che arricchiscono il libro sono rigorosamente dipinte a mano;
3. Lo studio della botanica lo portò a creare in circa 15 anni di ricerche un erbario di più di mille specie che crescevano spontanee nella conca d’Ampezzo, con immagini dipinte a mano e nome scientifico e dialettale della specie. In seguito ne fece una mostra, cui seguì nel 1939 la pubblicazione di “La flora montana e alpina di Cortina d’Ampezzo”;
4. Permiano-Triassico (circa 250 milioni di anni fa). Si tratta sicuramente dell’estinzione di massa più catastrofica di tutti i tempi, circa il 96% delle specie animali marine si estinse e complessivamente scomparve il 50% delle famiglie animali esistenti.

Le ricerche botaniche di Zardini esposte al Museo di Cortina (ph. Giacomo Pompanin)


Con la collaborazione di Cortina Marketing
www.cortinamarketing.it

Francesca Nemi

Francesca Nemi

Vado in montagna, scrivo, fotografo. Non sempre, non per forza seguendo un ordine. Simpatizzante dei cambiamenti. Ho i miei tempi, e a non volerli rispettare si finisce sempre fuori tempo.


Il mio blog | Scrivo su oltreilvalico.com. E' lì che tengo traccia dei miei sentieri di montagna e di vita. Costruisco la mia storia. Mi perdo, mi trovo… continuerò a perdermi e a ritrovarmi sempre. Dal 2019 sono Guida Ambientale Escursionistica.
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