Recensione

LA CENA DEI COSCRITTI

La storia ci dice di tre anziani, tre coscritti del ‘42 che, pur refrattari alle sirene dell’ecologia combattente, si mettono contro al progresso che avanza. Ma qual è il prezzo per ristabilire l'ordine?

testo e foto di Davide Torri

11/05/2021
5 min
“È chiuso!”, “Sono anni che è chiuso!”
Il nuovo romanzo di Michele Marziani, La Cena dei Coscritti, anche questa volta pubblicato dalla Bottega Errante Edizioni (BEE con tanto di pecorella-logo) di Udine,

ci riporta[1] in una montagna lontana dal mainstream, drammatica e leggera allo stesso tempo, una montagna nostrana, diversa da quella tipica che tanti libri dalle copertine con i bei acquerelli ci fanno intendere.

La Cena dei Coscritti è, per giungere subito al centro di questo contributo, un episodio montano dei Soliti Ignoti[2], quello di Monicelli per favore, messo in scena sul palco di uno dei piccoli teatri della Società del Mutuo Soccorso, che nei paesi dove verosimilmente potrebbe svolgersi la storia di Michele sono ancora degli splendidi esempi di architettura e cultura alpina, da una compagnia teatrale amatoriale. Una di quelle dove gli attori recitando fanno venire a galla loro stessi piuttosto che i personaggi che intendono rappresentare. Già, perché nella Cena i personaggi e la storia sono sì inventati e, un poco, ci fanno sorridere ma intravedi nel libro di Marziani qualcosa di ben più reale e preoccupante: lo sfanculamento delle terre alte. Nello specifico del (quasi) inventato paese di Riva Cannobbia.

Pur essendo un romanzo che non intimorisce per il numero di pagine sono tante le figure che appaiono sul palcoscenico. Sono tutte illuminate da dietro e, per questo, le scopriamo pagina dopo pagina. Sarà Piero (Pino)[3] Capaldi, ancora un bell’uomo che

“dopo i settanta ha cominciato a sentirsi dire che sembrava più giovane, ironia della sorte,  il ritratto sputato di Jack London, per via del ciuffo”,

ad accompagnarci nella battaglia ecologica (fallimentare come sembrano esserlo anche quelle più robuste del Friday for Future) contro una inutile quanto incoerente diga e poi, a fargli compagnia, la[4] Mara Bistefani, sua moglie.

La più bella del paese. E anche la più intelligente. E Mario, figlio che ha studiato ma per niente, ingegnere andato a Milano, all’Ortica sposando la Sonia, ingegnera anche lei, e dis-integrato nel contesto di Riva; Josko Vukovic, ex-guardiapesca bosniaco sul fiume Una e jaadista a sua insaputa; Girolamo Sparvieri, Gino, il bibliotecario, ex sessantottino puntiglioso e noiosetto (parole sue) e suo fratello Medardo, avvocato di grido; l’Ernesto marito della Anna, seconda figlia di Pino; tutti i Baldo, figli del farmacista del paese, il Teobaldo Rosso che di rosso c’ha solo il nome e molti altri ancora che daranno al libro una forma corale perfetta.

La storia ci dice di tre anziani, tre coscritti del ‘42, appunto il Pino, Gino e Josko che, pur refrattari alle sirene dell’ecologia combattente, si mettono contro al progresso che avanza perché

“A volte avanza anche la trippa, quando non è buona”

e cercano, tra bevute colossali e proclami di lotta anche poetici, di fermare la costruzione di una piccola quanto orribile diga green[5] sul cristallino torrente che attraversa il paese. Non ce la faranno, ma questo poco importa perché con questo piccolo fiammifero acceso Marziani, il Michele, dà fuoco ad una realtà che abbiamo lungamente rimosso e sostituito ma che Nuto Revelli aveva profetizzato con il suo straordinario magnetofono:

muoiono così i nostri villaggi, muoiono male.”

Si, in montagna, i paesi muoiono male, e non solo i più piccoli e isolati perché anche a fondovalle,

la cittadina è molto più grande del paese, è il capoluogo della vallata, eppure c’è un certa aria  di dismissione, anche qui tutto sembra che stia per scomparire.

A Riva Cannobbia non c’è niente, niente scuola, niente carabinieri, edicola, niente parroco, anzi ce ne è uno part-time ma è un negro[6], solo anziani come Pino che si vorrebbero rincoglioniti come il paese. Già, perché quello che è peggio di questa montagna che scompare è che, al suo posto, ne cresce una posticcia, dove i pochi turisti ciabattoni vogliono formaggi e salumi tipici ma la Mara, alla sua Osteria aveva solo quelli di paese: li chiamava nostrani e loro, i turisti, scuotevano la testa e andavano all’Antica Osteria che di antico aveva solo la furbizia di abbindolare i citrulli. All’Antica Osteria c’è un cuoco stellato (un altro dei Rosso, Ribaldo il figlio più piccolo) con

una barba nuova, fulva, lunga, che gli dava un’immagine perfetta di cuoco di montagna.”

Posticcia perché è come quello che in tanti preferiscono: la montagna posticcia.

Forse la scrittura leggera, un po’ da Zanni, che il Michele srotola nella parte più ampia del libro potrebbe trarre in inganno ma non è un caso che in apertura ci sia una (abbastanza) nota frase di Alex Langer[7]. L’altoatesino fa da accompagnatore silenzioso ma guardingo, all’intera Cena. L’epigrafe va letta per intero:

Ci manca, invece, quel bambino della favola di Andersen che ad un certo punto osa dire ad alta voce che l’imperatore è nudo. Che chiami, cioè, col loro nome tutto ciò che di ben altre apparenza si ammanta. Dal carrierismo alla ricerca di un semplice posto al sole, dall’egoismo sociale o etnico al rilancio, appena camuffato, di una nuova ondata di aggressione ai poveri ed alla natura.”

E l’autore, con un elegante gioco di prospettive, lo trova quel bambino, alla fine, quando ormai l’aggressione ai poveri e alla natura si è consumata, quando dei tre protagonisti non resta che il ricordo, quando tutto sembra perduto, lo trova ribaltando, come ha fatto continuamente nella Cena dei Coscritti, i paradigmi[8]. Non saranno i montanari a riconoscere che il Re è nudo, non riconosceranno neppure che loro stessi sono nudi, ma sarà un mite, uno che ama la sua vita di merda, un terrone che arriva dalla piatta Puglia, sarà l’Alfonso Raineri a dire di no allo chef stellato, ad inceppare il meccanismo e a bussare all’Osteria di Riva Cannobbia. Quella che è chiusa, che sono anni che è chiusa.

E per lui, e magari anche per noi, in questa redenzione finale, il premio sarà un piatto fumante di cuchela e un lungo sorso da una bottiglietta dalla inequivocabile etichetta.
Marziani ha ragione quando dice che al

giorno d’oggi scrivono tutti”,

il difficile non è scrivere ma farsi leggere e La Cena dei Coscritti si fa ben leggere.

_____
[1]
Come già per Lo Sciamano delle Alpi – recensito tempo fa – un altro bel corto circuito alpino che porta un racconto nato sulle Alpi Occidentali ad essere pubblicato in quelle Orientali. Per tacere dell’autore che, come sappiamo, cerca in tutti i modi di essere considerato un montanaro ma nelle scarpe ha ancora la sabbia dell’Adriatico.

[2] si, perché di azioni criminose, quanto naif, si tratta: falsificare manufatti, distillare alcool, rubare, guidare mezzi senza patente, preparare striscioni minacciosi, organizzare rave clandestini, fare terrorismo e, perché no, inneggiare alla figa opponendola impropriamente alla diga.

[3] che il soprannome di Piero sia Pinocchio, diventato poi con gli anni Pino, e che questo sia dovuto ad un incrocio, tutto da dimostrare, con un mito della mia gioventù ha trasformato la lettura di questo libro in un fatto quasi personale. Marziani, con un coup de théâtre singolare, fa incontrare Pino con Lauri Rapala. Si, il finlandese inventore del pesciolino finto e galleggiante a cui darà il nome, opera d’arte acquatica, capolavoro di ingegneria dei fluidi, perfezioni di forme e colori. Il Rapala, una specie di distintivo che, già negli anni ’60 su tanti torrenti e fiumi in cui nuotavano trote, persici, lucci, eleggeva a pescatore serio chi sapeva tenere in mano una canna e legarci quel magico oggetto. E, a me, qualche anno dopo, ha permesso di schifare in via definitiva camole e cagnotti.

[4] a parte Gino, Josko e Mario, per motivi diversi, tutti a Riva hanno l’articolo davanti al nome, da sempre, da generazioni, da prima ancora che lì si parlasse italiano. Prima ancora che si pensasse di parlare in italiano. Le femmine poi l’articolo ce l’hanno tutte.

[5] significativo che (il) Marziani abbia scelto l’aggettivo green per contrapporre le opposte fazioni: la Green Future della perfida famiglia Rosso, che costruirà alla fine della storia la diga e la Green Planet Now, della poco Virginia Loreni che cercherà di opporsi.

[6] Walter Siti ha scritto, recentemente, che non serve evitare un “harmful impact” ai lettori  e Marziani vi ha giustamente aderito.

[7] La frase è estratta da un testo in cui Alex spiegava le motivazioni che lo avevano portato, nel ’94, a rifiutare la candidatura alle politiche nella lista dei Verdi. Come dire, un testo di fantascienza oggi.

[8] Il Michele ne ribalta di paradigmi: da quelli geografici a quelli culturali accostando con coraggio ma senza riverenza le parole dei suoi personaggi a quelle di grandi autori come il nostro primo nobel per la letteratura, Giosuè Carducci, o Yasushi Inoue,  uno dei grandi della scrittura contemporanea giapponese.

La cena dei coscritti

Autore: Michele Marziani
Editore: BEE, 2021
Pagine: 176
Prezzo di copertina: € 16,00

www.bottegaerranteedizioni.it

Davide Torri

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


Il mio blog | Scrivo su altitudini.it da molto tempo. Mi piace starci perché, nonostante sia virtuale, è un luogo dove la concretezza delle persone e delle montagne è sempre lì: da toccare.
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