Poteva cominciare. Guardò in alto, ma invece del cenno di assenso auspicato vide un cielo grigio di nubi da cui scendevano tanti ciuffetti bianchi. La neve.
Cominciò ugualmente, e man mano avvertì che il suo corpo si immedesimava nella neve e diventava sempre più freddo. Come previsto. Poco dopo sentì di essersi trasformata in ghiaccio. A quel punto avrebbe dovuto lasciarsi andare, diventando acqua, poco per volta.
Con il suo manto di ghiaccio adesso ricopriva le rocce, si spaccava in crepacci, si ingrandiva quando le valanghe precipitavano dai pendii ripidi, trascinava i sassi formando le morene. Un gioco interessantissimo. Poi verso il basso, quando faceva caldo, il ghiaccio si scioglieva e l’acqua si raccoglieva in rivoli che scendevano fra i sassi, giù, giù, verso il lontano verde dei prati, degli alberi, fino alle capanne dei matti. Li conosceva bene quei matti, invano aveva cercato di difenderli, prima che il “padre padrone” la esiliasse lassù, sulla luna.
I suoi amici matti, lei lo sapeva benissimo, non erano cattivi, ma non capivano. Anche se qualche volta quelli che abitavano dalle sue parti la riverivano, appendevano tanti straccetti colorati, cantavano e si inchinavano con grande rispetto.
Poi un giorno ne vennero altri, diversi. Questi erano aggressivi, la calpestavano e sotto i piedi mettevano dei terribili uncini, ramponi li chiamavano, che facevano male, tanto male. Poi pretendevano di salire sulle cime, sporcavano la sua candida veste, abbandonavano i loro resti, persino le loro cacche puzzolenti. Era un vero disastro, che lei cercava di frenare scrollandosi e quando poteva facendoli precipitare in crepacci profondi.