Reportage

#97 LA COLONNA DEL CIELO

Un trekking di due giorni per scoprire la vetta più alta di Spagna

testo e foto di Enrico Fioraso

03/01/2021
8 min
Il Bando del BC20

La colonna del cielo

di Enrico Fioraso

La prima volta che ho messo piede su un aeroplano e ne ho sentito i suoi motori rombare non ero nemmeno adolescente. Era un inverno freddo. Di quelli che ghiacciano le strade e fanno sembrare tutto buio e silenzioso.

Arrivato all’aeroporto di Treviso ogni cosa mi pareva così eccitante. Il controllo documenti, le valigie che sparivano sul nastro trasportatore ed i miei con un sorriso stampato in viso che solo le vacanze riescono a darti. Era dicembre e mi stavo per imbarcare per le Canarie, direzione Lanzarote. Mai mi sarei pensato che quel viaggio fosse l’inizio di una lunga relazione con l’arcipelago delle Isole Canarie. Difatti dopo Lanzarote fu il turno de La Graciosa. Poi Fuerteventura, e più recentemente Tenerife. E chi è stato alle Canarie capisce facilmente il perché di questa attrazione. Non esiste infatti un posto simile in tutto il continente europeo. La loro unicità sta nell’incredibile biodiversità e bellezza di alcuni paesaggi che si possono trovare solo in queste isole perse nell’oceano Atlantico. Per non parlare del clima mite, che una volta messo piede in uno di questi paradisi vulcanici non ti fa più tornare indietro.

Tra queste terre emerse (e fortunatamente per noi europee) l’isola più grande ed importante è Tenerife. L’isola più festosa dell’arcipelago che con il suo carattere cosmopolita e il famoso carnevale (secondo solo a quello di Rio de Janeiro per dimensioni e importanza) attira espatriati da tutto il mondo. E non solo. Negli ultimi anni, sportivi di ogni tipo (ciclisti, triatleti, trail runners, ecc.) l’hanno eletta a destinazione ideale per i ritiri invernali. Un po’ quello che sta accadendo a Gran Canaria e Lanzarote. Ed è per questo che avevo deciso di visitarla. In mezzo a questo tripudio di persone, feste e parchi naturali infatti svetta imponente la più alta montagna di Spagna, il Teide. Uno dei vulcani più iconici e famosi del mondo che si staglia a quasi quattromila metri sul livello del mare in quest’isoletta in mezzo all’oceano.

Non sorprende perciò che per molti secoli i Guanci, gli indigeni delle isole Canarie, ubicassero l’aldilà su questo monte che si credeva contenesse l’inferno tra le sue pareti rocciose. E nemmeno che i primi geologi ed esploratori europei lo considerassero la montagna più alta al mondo. Difatti nell’epoca dell’espansione europea il Teide, grazie alla sua imponente altitudine, veniva utilizzato da tutti i navigatori, spagnoli, portoghesi e britannici, come faro durante la navigazione nell’Oceano Atlantico verso sud. Ne scrisse Cristoforo Colombo, Boccaccio e pure Dante. Insomma, ben prima che arrivassero i social questo luogo aveva già assunto una fama proporzionata alle sue dimensioni epiche. Ed io volevo andare in cima al Pico del Teide a 3718 metri, cinquecento anni dopo la sua prima ascensione.

Così dopo svariati viaggi tra Lanzarote e Fuerteventura era finalmente giunto il momento di visitare la più grande isola dell’arcipelago. Atterrando all’aeroporto a nord dell’isola, utilizzato per i voli interni alle Canarie, si viene subito sorpresi da una vegetazione lussureggiante, di un verde smeraldo quasi tropicale, che la rende ben differente dalle sue sorelle sopra citate.

Lanzarote infatti, con la sua roccia scura e arida e una costellazione di vulcani spenti, sembra appartenere ad un altro pianeta. Stessa storia per l’arida e pianeggiante Fuerteventura, famosa per le sue spiagge bianche e quel sapore western che l’ha vista teatro di diverse produzioni cinematografiche. Qui invece, a poche centinaia di chilometri dalle altre terre emerse nel bel mezzo dell’Atlantico, il territorio sfoggia una vegetazione rigogliosa assai diversa ed eterogenea.

Così dopo aver passato i primi giorni nel nord dell’isola mi appresto a raggiungere il Parque Nacional del Teide una mattina di fine inverno. Avevo passato la notte nel pittoresco villaggio di San Cristobal de la Laguna dopo aver visitato le scogliere di Taganana e il selvaggio Parque Rural de Anaga.

Appena metto in moto la macchina sento uno sfarfallio alla pancia. Sono emozionato. Sto salendo verso la cima più alta di Spagna ed il cielo azzurro promette bene. Mi inerpico lungo la strada TF-24 denominata Carretera de la Esperanza che nel giro di qualche chilometro inizia a salire come una forsennata, trasportandomi dal trambusto cittadino ad una delle foreste più belle dell’isola, Las Lagunetas. In pochi minuti sono passato da un ambiente urbano e antropizzato ad una natura pazzesca, con boschi di conifere a perdita d’occhio e temperature che cominciano a scendere velocemente. Mi fermo a un mirador lungo la strada per scattare qualche foto dell’isola, continuo a salire e nel giro di un’oretta mi ritrovo faccia a faccia con l’imponente montagna. Non appena i boschi finiscono e si oltrepassa il centro visitatori di El Portillo il paesaggio cambia radicalmente. Pare di essere atterrati in un altro pianeta. Avevo letto che il Parco del Teide assomiglia a Marte e che agenzie spaziali organizzano esercitazioni per la sua somiglianza col pianeta rosso. Ed ora che mi ci ritrovo nel mezzo capisco perfettamente il perché.

Dai finestrini entra una brezza fresca, siamo ben sopra i duemila metri di altitudine e l’aria inizia ad essere più fina. Arrivo al parcheggio del sendero n°7 Montaña Blanca poco prima di pranzo. Non c’è quasi nessuno. I bus turistici infatti sfrecciano verso la funivia che sta qualche chilometro più avanti. Un prodigio di ingegneria costruito negli anni settanta e capace di sfrecciare carica di turisti a 3555 metri di altitudine in pochi minuti. Ma io sono qui per l’alternativa slow. Preparo lo zaino e mi cambio mentre guardo la salita ripida che mi aspetta. Il paesaggio è arido, quasi desertico. La caldera del vulcano sembra un abbraccio di terra e fuoco che mi avvolge. Qui su non ci sono alberi e difatti la vegetazione di questa zona denominata Las Cañadas è simile a quella che si ha nel cono stesso. Inizio così pian piano l’ascesa al Refugio Altavista. Ho prenotato un letto e per oggi quella sarà la mia destinazione.

Cammino da solo. Passo Los Huevos del Teide, enormi palle di lava solidificate che sembrano uova giganti. I pensieri volano più veloci della funivia che vedo in lontananza. Non è difficile capire perché questa enorme montagna avesse conquistato un carattere quasi religioso e fosse venerata dalle popolazioni locali. Il territorio è a dir poco spettacolare, enorme e pauroso allo stesso tempo. Il massiccio si staglia in cielo di fronte a me come una piramide proiettata verso l’infinito. Lo sguardo si perde a 360° gradi e si vede tutto l’altipiano del parco che si trova a più di duemila metri di altezza, creando una sorta di cappa climatica che va dai trenta gradi a ridosso del mare fino a temperature sotto zero verso la cima. In pratica un ecosistema d’alta montagna a pochi chilometri da spiagge di surfisti e locali di tendenza.

Continuo a salire in autonomia. Penso al mondo che sta sotto. Tra sentieri di lava e pietra pomice ripenso a quanto sia facile staccarsi da tutto se lo si vuole veramente. Mi chiedo pure se gli isolani ci salgano mai qui sopra. A Roma, molti romani non sono mai entrati al Colosseo o non hanno mai messo piede sull’Appia antica. Immagino che qui molti pescatori e abitanti della costa non siano mai saliti lungo questo sentiero. Eppure passava da qui anche la transumanza fino a qualche decennio fa. Mi dispiace per voi esclamo tra me e me! Quello che ho davanti agli occhi è unico. È Madre Natura alla sua ennesima potenza. È la Terra che si mostra bella, potente e spaventosa. Non, non è Marte. Ed anche se ci assomiglia posso affermare tranquillamente che qui si sta molto meglio.

L’ascesa prosegue e il sentiero dopo essersi ristretto entra a zig-zag tra colate laviche recenti. Nonostante l’inattività del vulcano da più di un secolo, le fumarole e le pietre roventi che si scorgono ogni tanto ti ricordano quanto sia viva questa bestia su cui sto camminando. Il suo cuore pulsante sta qualche centinaio di metri sotto di me. Così passo dopo passo mi avvicino al rifugio che inizio a scorgere in cima. Scalini di pietra lavica indicano il percorso che ora sale a pendenze che mettono in crisi i polpacci. Sono ben oltre i tremila metri di altitudine e la vista continua ad essere meravigliosa.

Prima delle cinque arrivo al rifugio. Sono uno dei primi e fino a quando non arriva il gestore non ci si può accedere al suo interno. Decido così di camminare nei dintorni mentre pian piano arrivano altri escursionisti. Il sole sta tramontando e nel cielo di fronte a noi si crea quell’effetto visuale per cui il Teide è famoso. La sua forma piramidale proietta un’enorme ombra sull’isola e sulla caldera di fronte al rifugio. Un trompe-l’oeil pazzesco.

Naturale ed effimero. Entriamo nel rifugio che ormai fa freddo. Ognuno di noi si è portato qualcosa da mangiare e dopo un veloce check-in e informazioni sul luogo vari gruppetti di persone si mettono a studiare mappe e pianificare la giornata successiva. Dopo cena esco a fare una scorpacciata di stelle. Qui vicino c’è un famoso osservatorio. Il cielo sembra inghiottirci. È uno di quei momenti che vorresti fermare nel tempo. Ti senti piccolo, ma allo stesso tempo ti senti vivo. Sarà stata l’emozione, o sarà stato il russare di quel gruppo di polacchi, ma a letto quasi non chiudo occhio e verso le quattro di mattina siamo già tutti in piedi a preparare gli zaini, fare colazione e incamminarci verso la cima.

Con le frontali accese e un mare di stelle sopra le nostre teste si parte per la cima. Il buio che di solito spaventa quella notte sembrava più docile. La luna e le sue amiche stelle sembrano guardarci da lontano. Passo dopo passo ci avviciniamo alla destinazione. Attraverso la stazione della funivia a monte che tra qualche ora partirà a pieno regime e insieme ad altri escursionisti inizio l’ultimo tratto del sentiero che porta alla cima. È una specie di scalinata lavica che sale veloce alla cima. Ancora qualche passo e arrivo su. Mi guardo attorno, le luci dell’alba cominciano a fare capolino da lontano. Si vede tutta l’isola dal Belvedere della Rambleta. Prendo posto in un luogo riparato. Tira un vento freddo che ti fa sognare le spiagge a valle. Pian piano si intravede il sole spuntare e con esso l’enorme ombra piramidale del Teide che si staglia sopra le nuvole, adagiandosi dolcemente tra le prime luci del giorno.

È un’esperienza metafisica, che ancora una volta mi ricorda il potere invisibile della natura. Mi godo insieme ad altri questo momento magico e nel farlo sento l’energia della Montagna che sembra mettere in moto questo nuovo giorno che nasce di fronte a noi. Sono qui, ma sono anche altrove. Circondato da chi è stato qui prima di me. Dai Guanci che credevano di stare sulle porte dell’inferno ai marinai che veleggiando verso sud lo salutavano a distanza nei secoli. È ormai giorno. Scatto qualche foto e mi rimetto in movimento.

L’ombra della Montagna svanisce al sorgere del sole. L’incantesimo è finito e come la vita, si ripeterà all’infinito in questo microcosmo perso in mezzo all’oceano. Riprendo il sentiero a scendere ed inizio a spogliarmi per il caldo.

Ripasso vicino alla funivia e pian piano mi incammino verso la macchina. Ne sono passati di secoli da quando Erodoto lo citava e lo indicava come “la colonna del cielo, sostegno del mondo” ed ora che l’ho conquistato posso finalmente capire l’aura di magnificenza che lo accompagna. Qui siamo tra le meraviglie del mondo. Nel confine di ciò che è visibile e ciò che è invisibile ai nostri occhi. Riprendo la macchina dopo essermi cambiato ed aver svuotato le scarpe dalla ghiaia. È ora di tornare a valle, nel mondo che conosciamo.

Dallo specchietto scruto ancora quella piramide di lava e la saluto. ¡Adiós!

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foto:
1. La caldera del vulcano sopra un letto di nuvole dalla cima del Teide.
2. Il sentiero che sale al rifugio e il paesaggio marziano del vulcano.
3. Las Cañadas del Teide.

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Enrico Fioraso

Enrico Fioraso

Papà da poco, designer ed appassionato di due ruote. Viaggio a piedi e in bici ed ogni tanto ne scrivo. Accompagno altri gruppi di viaggiatori come Trip Leader per un tour operator americano e quando mi rimane un po' tempo salto in sella per esplorare la Capitale e le strade sconosciute ai romani.


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