Il peccato originale
Non ci è parso vero di dotarci di strumenti in grado di documentare in modo certo il punto di arrivo su una montagna di 8000 metri facendo la guerra a chi avesse guadagnato un centimetro più dell’altro. Ci siamo inventati premi, titoli, curriculum, gruppi elitari auto costituiti. Abbiamo ceduto al voler porre delle regole, noi che da quelle regole scappavamo cercando nella metafora dell’alto, del verticale, della quota, un luogo dove non ci fosse sovrastruttura, ma solamente quella natura quasi primordiale, con cui sapevamo non avesse nessun senso porsi in competizione. Pian piano abbiamo voluto portare lassù pezzi di “urbanità” per ridurre, forse, quel senso di impotenza che ogni tanto ci prende di fronte alla selvatichezza della montagna o per affermare la nostra futile capacità di trasformare qualsiasi luogo del pianeta a nostro servizio. Salvo veder poi sparire il frutto di tanto lavoro sotto eventi naturali che si ripetono da milioni di anni ma che noi chiamiamo emergenza.
Ci siamo illusi di poter creare delle economie sulla nostra pratica, distinte da quella globale, per poi ritrovarci a passare più tempo nei negozi di Arco o Chamonix piuttosto che in parete. Abbiamo stemperato il confine tra l’urbe e la selva fino a diventare una città globale il pianeta, con le montagne a fare da parco pubblico.
La città per sua natura è generatrice di regole, è civitas oltre che urbe, ed è giusto che sia così; altrimenti l’uomo non sarebbe stato in grado di evolversi dallo stato di “pura natura” a società civile. Ma come le antiche mura segnavano il confine tra uno stato di diritto ed un altro (legge della natura), oggi è quanto mai fondamentale contestualizzare le norme che regolano la società in funzione dei contesti fisici e geografici in cui si esprimono. Esportare in modo indiscriminato atteggiamenti securitari ed iper-regolamentari in ogni luogo è un modo per far regredire il senso di responsabilità e libertà di scelta di ognuno di noi delegandolo (volontariamente o involontariamente) a governanti più o meno capaci.