Sentieri come vene e arterie. La natura ripete i suoi modelli efficienti: il cammino è un flusso sanguigno che porta con sé un’informazione preziosa come l’ossigeno. La memoria è popolata di questi echi, si rimane ad ascoltarla per iniziare a vergare tracce e simboli, passo dopo passo come fosse una pratica di scrittura automatica. Non sei te a percorrere il cammino, ma è il cammino che ti passa attraverso. Lascia traccia di sé, deposita memoria, semina possibilità. Di tutte, la più profonda è la possibilità di restare intatto nel paesaggio interiore. Al riparo. Mentre rovi, vitalbe e muschi arriveranno a cancellare ogni cosa.
Fuori dal bosco il sentiero diventa una traccia appena leggibile che sale ripida con corti zig zag. Un bel sole alto riscalda l’aria. In lontananza verso il fondovalle la sottile linea azzurra dell’Adriatico. Già si indovina la linea regolare della provinciale che porta al valico. Così eccomi a Forca di Presta mitico valico ai piedi del Monte Vettore, la cima più alta dei Monti Sibillini. Quando arrivo trovo i camioncini dello street food, varie macchine parcheggiate. Piccole sagome che salgono con la testa china verso la vetta, altri che danno i primi colpi di pedale per intercettare il Grande Anello dei Sibillini verso Sud. Poco oltre la strada asfaltata comincia a scendere ed è subito Umbria che accoglie con lo spettacolo dell’altopiano di Castelluccio di Norcia.
Andando indietro nei secoli il valico è sempre stato molto frequentato: da qui si scendeva molto rapidamente fino a intercettare la Via Salaria, la storica via del sale che collegava l’Adriatico a Roma. Hanno calcato questi sentieri molti viandanti e pellegrini, eserciti, i monaci benedettini che dalla vicina Norcia raggiungevano abbazie e monasteri disseminati per le Marche e gli Abruzzi. Arrivare al valico e puntare verso la Salaria era come orientarsi verso il centro del mondo.
«Non c’è solo la Salaria» ha proseguito Vittorio, «prima c’era la Via Metella che prende il nome dal console romano Metello che la fece costruire. Ed è molto più antica della Salaria, può essere considerata una sua versione primordiale. La Via Metella dall’Adriatico entrava nelle Gole del Salinello, saliva fino a Pizzo di Sevo sui Monti della Laga e da lì seguendo il Tracciolino di Annibale scendeva fino ad Amatrice. Sì certo, si chiama così perché è uno dei probabili passaggi che ha usato Annibale per svalicare gli Appennini dopo la battaglia del Trasimeno».
Seguo la traccia, mi lascio alle spalle il bel rifugio degli Alpini putroppo ancora inagibile e devio verso un grande prato in discesa. Di nuovo i passi vanno sulla linea antica, di fronte si apre la stretta valle del Tronto. La SS4, la moderna Salaria, vista dall’alto con le sue curve sembra un biacco che si gode il sole. Sul versante opposto i boschi scuri e densi che salgono sui fianchi della Laga, il pugno di case di Spelonga e vicino l’area Sae. Quando ho salutato Vittorio era sera fatta. L’oscurità era scesa sui monti intorno, scomparsi i loro profili. La mole del Vettore con la faglia digrignante dietro lo schermo nero. Alle mie spalle la Laga scrosciava le sue cascate innumerevoli nel ventre della notte. L’odore del fumo che usciva da un camino aveva incrinato il senso di spaesamento.
Ora per un breve tratto cammino all’ombra di una faggeta, i tronchi secolari come sculture, i rumori del valico sono scomparsi e con loro ogni riferimento al tempo presente. Il rumore dei passi si sovrappongono agli echi dei passi dei viandanti di secoli fa: truppe e soldataglie, gente in vena di commerci, monaci, pellegrini. All’improvviso fuori dalla faggeta li vedo: gli asfodeli che mi aveva detto Vittorio. A decine occupano lo spazio di un grande pianoro erboso: alti e fioriti di un bianco candido ondeggiano con ritmo ipnotico mossi da un vento leggero. Slaccio lo zaino e mi metto a guardarli, a lungo. Sembra che il tempo stia ancora sospeso in quell’attimo in cui la bellezza entra e fa il miracolo: il soldato non pensa alla guerra, il mercante dimentica il denaro, il pellegrino assaggia la Grazia.
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foto:
1. Asfodeli in fiore e il Monte Vettore sullo sfondo, ph. Alessandro Galloppa.
2. Vittorio Camacci posa con i “ferri del mestiere”, ph. Ass. Arquata Potest.
3. Preparazione della segnaletica dei nuovi sentieri, ph. Ass. Arquata Potest.