Reportage

#27 I SENTIERI NEL CRATERE

testo di Alessandro Galloppa  / Cupra Marittima (AP)

05/12/2020
8 min
Il Bando del BC20

I sentieri nel cratere

di Alessandro Galloppa

C’è questa piccola strada che devia dalla provinciale, alle spalle la zona rossa di Arquata del Tronto. Quasi a un trivio di confine tra le regioni di Marche, Lazio e Abruzzo: nel cuore del cratere, o meglio uno dei cuori, tanto è ampia l’area interessata dal sisma del ’16.

Questa piccola strada finisce in un pugno di case, la frazione di Camartina: la chiesa dalle mura bianche, l’albergo inagibile, un limpido torrente, fiori esapetali incisi sulla pietra illuminata dal sole.
Lascio l’auto, metto gli scarponi e prendo il sentiero.
Quando ho chiesto a Vittorio quale sentiero aveva da consigliarmi lui ha allargato le braccia: «Hai l’imbarazzo della scelta», mi ha detto, ma adesso è maggio, fai l’anello di Forca di Presta che ci sono gli asfodeli. Vittorio Camacci, classe ‘64, insieme ai ragazzi dell’Associazione Arquata Potest sta portando avanti un progetto di recupero di un’antica rete di sentieri. Ho avuto con lui una bella chiacchierata un paio di settimane fa. Sono andato a trovarlo a casa sua nella frazione di Spelonga: ho camminato per una decina di metri nel villaggio Sae, le casette provvisorie per gli sfollati del terremoto. Le strutture modulari delle “Soluzioni Abitative d’Emergenza” erano come una nota prolungata e ridondante, interrotta soltanto dalla figura di Vittorio: il fisico atletico e gli occhi luminosi e sottili, mi aspettava con i gomiti appoggiati sulla staccionata davanti il suo alloggio.

 Il sentiero serpeggia subito dentro un grande castagneto, sale deciso, tante le deviazioni che si innestano per andare a innervarsi dentro il bosco. Per orientarmi ho scaricato la traccia dal sito dell’associazione, ma il gpx è soltanto l’ultimo dei passi, quasi un dettaglio di tutto il lavoro che c’è dietro. Vittorio è stato una specie di medium, un tramite per aprire gli occhi sui sentieri dimenticati e scomparsi di questa zona di giuntura tra i Monti Sibillini e i Monti della Laga.
Quando mi sono seduto al tavolo con lui, sua madre aveva già pronto un piatto con i biscotti da inzuppare nel vino cotto, sopra il mobile della cucina tanti trofei vinti nelle gare di trail.

«È una vecchia passione che avevo già prima che succedesse tutto questo, prima del terremoto. Parte di questi sentieri li percorrevo durante le corse in montagna, man mano che andavo avanti con l’allenamento avevo bisogno di variare e allungare un po’ i giri così andavo a cercare anche quei sentieri di cui mi parlava mio nonno e altri vecchi del paese. Alcune tracce le ricordo fin da quando ero bambino. Avevamo un sentiero che da Spelonga andava fino ad Arquata. Lo percorrevo con mio padre, c’era una passerella sul fiume Tronto, un ponticello fatto con le traversine di legno e veniva percorso fino agli inizi degli anni 70. Poi sono stati abbandonati, ma io ho sempre ricordato che c’era, quell’immagine l’ho sempre tenuta in mente».

 Mentre salgo posso vedere parte delle macerie di Arquata. In attesa di una ricostruzione che tarda a partire, oltre che abbandonata, questa gente si è sentita disorientata, spersa, spaesata. Senza un paese appunto. La loro vita trasferita nei moduli, ennesimo non luogo sigillato nel silenzio di un tempo sospeso. E così ha scavato nella propria memoria. Sentieri e percorsi sono emersi come linee di impronte digitali, fondativo elemento di identità posto ad argine della marea anonima e ridondante.

«Prima degli anni 50 strade non ce ne erano. Avevi i sentieri. Se dovevi vendere un animale ad una fiera lo portavi percorrendo un sentiero, così se andavi a trovare un parente alla festa del paese. Quando sono arrivate le strade e le automobili gli ultimi usi di questi sentieri sono rimasti quelli legati all’allevamento, alla transumanza e all’agricoltura di sussistenza. Poi quando hanno aperto le fabbriche giù nella valle se ne sono andati quasi tutti e addio sentieri. Era scomparso tutto, in molti casi l’unica cosa rimasta era soltanto il ricordo, la memoria dei vecchi del paese. Un pezzo alla volta me li sono messi tutti in testa e adesso li ricordo a memoria».

Vittorio che riesce a tenere a mente tutta la rete dei sentieri un po’ mi fa invidia. E mi ha fatto pensare a Fahrenheit 451, il romanzo dove i libri venivano bruciati perché considerati pericolosi strumenti di libero pensiero. Chi voleva resistere e opporsi alla loro distruzione, li imparava a memoria, anche in parti e piccoli pezzi. Così anche tenere a mente una rete di sentieri in una zona rasa al suolo, che rischia di essere cancellata e dimenticata, mi fa pensare a un gesto simile.

Continuo a camminare, il solco muta forma. Tratti di single track si alternano a larghe sterrate: i soci dell’associazione e i volontari si prendono cura costantemente di questi percorsi. La pratica della manutenzione del sentiero ha radici antiche da queste parti. Tra le varie comunanze agrarie era consuetudine mettere a disposizione per tre giorni al mese un familiare. Era un’attività su base volontaria, ma obbligata per l’importanza che avevano.

«Dal passato ci siamo portati dietro quest’idea che siano un patrimonio di cui prendersi cura. Con il terremoto quest’idea invece di morire ha preso forza. Di lavoro da fare ne abbiamo ancora molto. Ci piacerebbe col tempo dedicarci anche al recupero delle casette con i tetti a schiazze che venivano usate come rifugi e ricoveri per i pastori. Le schiazze sono le tegole ricavate dall’arenaria che si frange naturalmente per lastre: qui c’erano anche delle cave, le schiazze venivano rifinite a mano con cunei e scalpelli».

Il bosco risuona con le chiome mosse dal vento, le ghiandaie fanno il loro solito chiasso per avvertire che c’è un intruso in zona. Ogni tanto il rintocco legnoso del picchio. “Cerca le perturbazioni dell’ordine atteso, stai attento alle interazioni impreviste”: le parole de “Le Antiche Vie” di Robert Macfarlane mi sono tornate in mente quando Vittorio mi ha raccontato del suo modo di procedere nella ricerca dei sentieri scomparsi.

«Gli occhi devi tenerli bene aperti. Sul sentiero sono passate persone per centinaia di anni, rimane comunque un minimo di traccia, di segno. Sono come dei fossi rimasti in secca, qualcosa rimane e devi essere bravo a guardare, insomma devi farci l’occhio. Ci sono delle cose che ti danno suggerimenti come il piano del terreno infossato o delle pietre piatte che spuntano dal fianco di una scarpata: quelle possono essere i resti di un muretto a secco e allora lì vicino se c’è il muretto ci dev’essere pure il sentiero. A quel punto vai a cercare le diramazioni che nascono dal sentiero principale. In generale oltre al ricordo personale e al racconto di chi se li ricorda sono queste le tracce che seguo».

Guardo il sentiero sul quale sto camminando. Questa linea di terra nuda e sassi è il risultato di un processo che si è attivato altrove, nella mente. È la proiezione del pensiero e del ricordo di Vittorio e degli anziani che ha consultato. Ed è anche la traccia segnata da chi secoli prima lo ha preceduto. Ecco perchè Vittorio è una sorta di medium.
Sembra ci sia qualcosa, una spinta che porta a pensarli, a cercarli e riscoprirli.
Qualcosa che muove il loro continuo apparire e scomparire, questo loro continuo rigenerarsi tra le maglie del tempo. Poi ti fermi ad ascoltare il rumore del vento tra gli alberi, ripensi alle metafore che usa Vittorio: «Poi il sentiero può anche finire lì e allora devi tornare indietro, ma intanto hai trovato una parte nuova di tutta la rete. I sentieri sono come le vene del corpo umano, no? Dalle arterie principali hai le secondarie e così via. Piano piano ricostruisci tutto il sistema».

Sentieri come vene e arterie. La natura ripete i suoi modelli efficienti: il cammino è un flusso sanguigno che porta con sé un’informazione preziosa come l’ossigeno. La memoria è popolata di questi echi, si rimane ad ascoltarla per iniziare a vergare tracce e simboli, passo dopo passo come fosse una pratica di scrittura automatica. Non sei te a percorrere il cammino, ma è il cammino che ti passa attraverso. Lascia traccia di sé, deposita memoria, semina possibilità. Di tutte, la più profonda è la possibilità di restare intatto nel paesaggio interiore. Al riparo. Mentre rovi, vitalbe e muschi arriveranno a cancellare ogni cosa.

Fuori dal bosco il sentiero diventa una traccia appena leggibile che sale ripida con corti zig zag. Un bel sole alto riscalda l’aria. In lontananza verso il fondovalle la sottile linea azzurra dell’Adriatico. Già si indovina la linea regolare della provinciale che porta al valico. Così eccomi a Forca di Presta mitico valico ai piedi del Monte Vettore, la cima più alta dei Monti Sibillini. Quando arrivo trovo i camioncini dello street food, varie macchine parcheggiate. Piccole sagome che salgono con la testa china verso la vetta, altri che danno i primi colpi di pedale per intercettare il Grande Anello dei Sibillini verso Sud. Poco oltre la strada asfaltata comincia a scendere ed è subito Umbria che accoglie con lo spettacolo dell’altopiano di Castelluccio di Norcia.

Andando indietro nei secoli il valico è sempre stato molto frequentato: da qui si scendeva molto rapidamente fino a intercettare la Via Salaria, la storica via del sale che collegava l’Adriatico a Roma. Hanno calcato questi sentieri molti viandanti e pellegrini, eserciti, i monaci benedettini che dalla vicina Norcia raggiungevano abbazie e monasteri disseminati per le Marche e gli Abruzzi. Arrivare al valico e puntare verso la Salaria era come orientarsi verso il centro del mondo.

«Non c’è solo la Salaria» ha proseguito Vittorio, «prima c’era la Via Metella che prende il nome dal console romano Metello che la fece costruire. Ed è molto più antica della Salaria, può essere considerata una sua versione primordiale. La Via Metella dall’Adriatico entrava nelle Gole del Salinello, saliva fino a Pizzo di Sevo sui Monti della Laga e da lì seguendo il Tracciolino di Annibale scendeva fino ad  Amatrice. Sì certo, si chiama così perché è uno dei probabili passaggi che ha usato Annibale per svalicare gli Appennini dopo la battaglia del Trasimeno».

Seguo la traccia, mi lascio alle spalle il bel rifugio degli Alpini putroppo ancora inagibile e devio verso un grande prato in discesa. Di nuovo i passi vanno sulla linea antica, di fronte si apre la stretta valle del Tronto. La SS4, la moderna Salaria, vista dall’alto con le sue curve sembra un biacco che si gode il sole. Sul versante opposto i boschi scuri e densi che salgono sui fianchi della Laga, il pugno di case di Spelonga e vicino l’area Sae. Quando ho salutato Vittorio era sera fatta. L’oscurità era scesa sui monti intorno, scomparsi i loro profili. La mole del Vettore con la faglia digrignante dietro lo schermo nero. Alle mie spalle la Laga scrosciava le sue cascate innumerevoli nel ventre della notte. L’odore del fumo che usciva da un camino aveva incrinato il senso di spaesamento.

Ora per un breve tratto cammino all’ombra di una faggeta, i tronchi secolari come sculture, i rumori del valico sono scomparsi e con loro ogni riferimento al tempo presente. Il rumore dei passi si sovrappongono agli echi dei passi dei viandanti di secoli fa: truppe e soldataglie, gente in vena di commerci, monaci, pellegrini. All’improvviso fuori dalla faggeta li vedo: gli asfodeli che mi aveva detto Vittorio. A decine occupano lo spazio di un grande pianoro erboso: alti e fioriti di un bianco candido ondeggiano con ritmo ipnotico mossi da un vento leggero. Slaccio lo zaino e mi metto a guardarli, a lungo. Sembra che il tempo stia ancora sospeso in quell’attimo in cui la bellezza entra e fa il miracolo: il soldato non pensa alla guerra, il mercante dimentica il denaro, il pellegrino assaggia la Grazia.

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foto:
1. Asfodeli in fiore e il Monte Vettore sullo sfondo, ph. Alessandro Galloppa.
2. Vittorio Camacci posa con i “ferri del mestiere”, ph. Ass. Arquata Potest.
3. Preparazione della segnaletica dei nuovi sentieri, ph. Ass. Arquata Potest.

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Alessandro Galloppa

Alessandro Galloppa

Sono una guida escursionistica, cammino sui sentieri di Marche, Umbria e Abruzzo e sui sentieri storici italiani. Oltre a camminare in gruppo amo molto le escursioni in solitaria a piedi e in mountain bike.


Il mio blog | Nel blog del mio sito wabik.it racconto delle mie escursioni oltre ad approfondire temi legati al viaggio e al cammino in particolare.
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