Quando devi passare così tanto tempo chiusa in casa, senza poter uscire nemmeno per una corsetta, inizi a sognare ad occhi aperti e a promettere a te stessa che non appena tutto sarà finito, o quasi, la prima cosa da fare sarebbe stata partire per un’avventura, che ronzava nella testa da un po’, in attesa di essere portato a compimento, con tutte le aspettative del caso.
Questa avventura aveva come obiettivo il raggiungimento della Capanna Margherita a Punta Gnifetti, nel gruppo del Monte Rosa. Un desiderio nato qualche anno fa, considerato quasi impossibile o se non altro molto difficile, reso improvvisamente più vivido l’inverno scorso, grazie a una persona che la montagna te la fa vivere a 360°, con una tale intensità da farti girare la testa.
P. è un’anima nata in pianura, ma fatta per vivere in montagna, in modo libero e spensierato, che non puoi in nessun mondo incatenare nella routine di tutti i giorni; persino i suoi pensieri e le sue idee viaggiano talmente veloci da portarti già a 4000 metri solamente parlando. Purtroppo l’inverno è stato brutalmente troncato da questa terribile pandemia e quel sogno, che era sembrato finalmente così vicino, si era allontanato di nuovo, insieme a P. Ma se c’è una cosa che l’isolamento mi ha insegnato è che se voglio davvero qualcosa devo andarmela a prendere, senza aspettare che siano gli altri a portarmela. Detto fatto. Alla fine di agosto, io e altri cinque amici, insieme alle Guide della Pietra di Bismantova, ci stavamo preparando per salire a Punta Indren con gli impianti. Da lì sarebbe iniziata l’avventura.
La mattina della partenza il meteo si presentava avverso, le previsioni davano temporali per tutto il giorno, con poche speranze di restare all’asciutto; le Guide stavano già per posticipare la partenza, quando un’insperata finestra di bel tempo ci ha consentito di partire per l’orario previsto. Dopo essere saliti con i tre tronconi di impianti, ci siamo incamminati per la prima parte di facile salita verso il Rifugio Mantova, attraverso quello che rimaneva del ghiacciaio Indren, ormai così ritirato da non richiedere nemmeno l’utilizzo dei ramponi.
Dopo una sosta al Mantova, è stato il momento di indossare l’attrezzatura da ghiacciaio, per prendere confidenza con picca, ramponi e, soprattutto, il fatto di essere legati in cordata. Ogni Guida si era legata con altre 4 persone; io e altri 3 amici ci siamo legati con Luca “Becca” Beccari, scialpinista dal passo deciso, che ci ha soprannominati la “cordata dei Freerider” (grazie al cappellino Black Crows del mio amico).
La salita alla Capanna Gnifetti era ormai abbastanza breve, distando soltanto mezz’ora dal Rifugio precedente, alle 4 di pomeriggio avevamo già sistemato gli zaini nelle camerate da 8 della Capanna, pronti per sorseggiare la prima birra della giornata a 3647 m, oltre ad ammirare un panorama mozzafiato su tutte le Alpi circostanti. Sì perché, nel frattempo, salendo di quota le nuvole si erano diradate, fino a lasciare il cielo completamente terso: il Monte Bianco e il Gran Paradiso si stagliavano maestosi di fronte a noi. Oltre al fatto di trovarsi nel bel mezzo di un ghiacciaio, la Capanna Gnifetti ha un’altra cosa veramente stupenda: una terrazza panoramica a quasi 360° sull’arco alpino. E lì, in quel momento, al tramonto del sole e al sorgere delle stelle, era già tutto meraviglioso. Tutte le preoccupazioni della vita quotidiana, la pandemia, l’ansia, le delusioni, in quel momento non ne rimaneva traccia; era tutto talmente distante, e il legame con la montagna così forte, che sembrava quasi di respirare per la prima volta. Una cosa che in quel momento mi ha colpita parecchio, è stata la completa assenza di rumore, di confusione, di frastuono: tutto ritorna al suo stato naturale, così semplice e allo stesso tempo così infinito.