Reportage

#15 ALLEGRA SCAMPAGNATA SULLE DOLOMITI DI BRENTA

testo e foto di Massimo Bursi  / Buttapietra (VR)

25/11/2020
8 min
Il Bando del BC20

Allegra scampagnata sulle Dolomiti di Brenta

di Massimo Bursi

PRENDI LA CINQUECENTO E SCAPPA
Quella volta avevamo così voglia di evadere che siamo scappati, in quattro amici, con una vecchia cinquecento. Naturalmente il tettuccio era aperto e spuntavano fuori gli zaini.

E’ stato uno di quei viaggi che non si scordano: a Vallesinella storditi dall’auto e incantati da una foto di una rivista alpinistica, abbiamo deciso di fare la via delle Guide al Crozzon di Brenta, un itinerario classico su una bella parete con roccia eccellente.

Ora rimango perplesso nel vedere con quanta incoscienza avevamo scelto un obbiettivo alpinistico non propriamente banale con due amici, ottimi arrampicatori, ma alle prime prese con il vero ambiente alpinistico.

Del primo giorno, oltre al viaggio turbolento ed alle ragazze snob di Campiglio, ricordo l’avvicinamento. Quante risate ci siamo fatti mentre camminavamo!
Il rifugio Brentei rimaneva sempre lontano per i nostri zaini abominevoli: cibarie comprensivi di una anguria, tendina, saccopelo, vestiti e, dulcis in fundo, tanto, tantissimo materiale d’arrampicata.
Sapevamo infatti che il valore di un alpinista è inversamente proporzionale alla ferraglia che si attacca all’imbragatura, perciò, conoscendoci, abbiamo deciso di abbondare.

CAMPEGGIO A CINQUE (E PIÙ) STELLE
Sdraiati sul prato, con un fornellino scoppiettante, e guardare il Crozzon è veramente molto distensivo soprattutto quando penso che dentro al rifugio Brentei la gente si massacra per trovare un tavolo su cui mangiare e forse dormire.

Allora i rifugi erano sempre pieni!

Prima di dormire andiamo, in processione, da Bruno Detassis, gestore del rifugio, per chiedere notizie circa il tempo atmosferico, circa la via e soprattutto sperando in una sua approvazione.
E così il re del Brenta, questo vecchio carismatico dalla bianca barba, si vede arrivare noi quattro: il “bocia”, Marco, vestito con una stravagante camicia da notte abbinata ad una calzamaglia, Nazzareno vestito interamente da parà: scarpe da lancio, pantaloni larghi e maglia verde, Guido, sempre tranquillo lui, con i suoi bei mutandoni di lana in bella vista ed infine io, il tipo barbuto, con vistosi occhiali a specchio e fasciato con un bel paio di pantaloni rosa.

«Macchè spit!» grida scandalizzato Bruno Detassis, «e poi non avevamo tutti quei nut e friend e altri aggeggi…», così sbotta quando uno di noi gli chiede qualcosa circa la chiodatura attuale della via. Cerchiamo di riguadagnare punti parlando del tempo atmosferico, e alla fine possiamo andarcene tranquilli e soprattutto con la sua indispensabile approvazione.

Detassis aveva ragione! Ripetere con la tecnologia di questi anni una via aperta negli anni ‘30 non è una gran impresa… Se poi si pensa a quanti chiodi sono ora presenti, le numerose informazioni che possediamo e lo sproposito di tempo che ci abbiamo messo… beh ciò vuol dire che eravamo proprio dei pivelli.

Durante la notte un’acquerugiola si porta via i nostri sogni di arrampicata e quando mi alzo, alle quattro del mattino, non credo ai miei occhi nel vedere una stellata favolosa.
Sveglio gli amici e partiamo.
Con grande gioia, l’unica pila frontale si inceppa e, escluso un accendino, il buio è totale.
Per arrivare all’attacco bisogna percorrere il primissimo tratto iniziale del Canalone Neri, facile via di ghiaccio se si è ben attrezzati, autentica roulette russa alpinistica se si è in scarpe da ginnastica e con soli due martelli da roccia da dividere fra quattro persone!
Saltando un crepaccio, scendiamo in un anfratto, piuttosto impressionante, fra parete e ghiaccio.

VOLTE SOGNO ROCCIA COMPATTA E RUGOSA
Fin dai primi metri la roccia è quella tipica del Brenta: grigia e compatta che garantisce soddisfazione; inoltre l’inizio è abbastanza facile.

Che pacchia seguire ora una fessura, ora un diedro, ora trovarsi in aperta parete, ora su un tettuccio ben manigliato! E poi all’improvviso Marco urla che c’è il sole: il sole mattutino quando si è in parete è la cosa più bella che ci sia.
Infine arriviamo sulla grande cengia sopra la quale iniziano le vere difficoltà.
In cengia ci riposiamo, mangiucchiamo qualcosa e osserviamo i turisti grandi come formiche sui sentierini in fondovalle.
«Ecco quelli che ci respirano l’aria» sentenzia Marco con tono cattedratico, mentre Nazzareno, autentico spirito di arrampicatore sportivo, dice che non cadrà più nei nostri tranelli ed in effetti gli era stata nascosta la nostra passione per le vie lunghe e con ritorni impegnativi.

«E non dimenticatevi che è la mia prima via in Dolomite» implora Nazzareno, «ed io sono stato solo sulle Torri del Vaiolet in mezzo a decine di cordate» incalza Guido mentre Marco ed io sogghignamo.
Ora la parete diventa perfettamente verticale e si avanza un po’ più lentamente ma sempre in allegria. Una bella lunghezza, la successiva con un tetto fessurato e poi infine un pilastrone liscio. Sempre su roccia ottima e girando verso sinistra arriviamo ad una sosta espostissima proprio a destra di un grande tetto. Sopra la testa una fila di chiodi ci invita, stoltamente, a salire e infine dopo dieci metri trovo un bel chiodo ad anello con un cordino nuovo.
Rapida doppia e sono di nuovo alla base.

Dopo questo intermezzo si traversa a sinistra fino al bordo del tetto e poi si prosegue pressochè diritti per parecchie lunghezze; ora è un diedro chiuso da un tetto, poi una fessura e poi una cengia dove riposarsi e potersi perfino sedere: troppo lusso!
Dopo aver avuto l’infausta idea di portare i nostri due amici in gita turistica sul Crozzon, Marco ed io ci carichiamo gli zaini mentre loro, da capocordata, cercano la via.
In realtà faccio solo una lunghezza di corda con lo zaino di Guido ed arrivo, stremato, in sosta più morto che vivo.
Ma che diavolo ci hanno messo dentro?
Con grande gioia troviamo cibo e leccornie di ogni genere ed in un attimo diamo fondo ai viveri e ne lasciamo persino in cengia.

Di tutti i libri di montagna letti, i più impressionanti erano quelli dove i protagonisti esaurivano i viveri e dovevano lottare con la fame. Noi, fortemente presi da questi pensieri eravamo soliti portarci in parete troppo cibo!

Al tiro seguente, in aperta parete, lo zaino è decisamente più leggero e questo è l’importante.
Poi Marco urla che la parete si spiana: il tratto centrale è finito, ma la cima è ancora lontana.

Con tre o quattro tiri veramente facili arriviamo alla grande cengia superiore e siamo sotto l’ultima fascia nera strapiombante: ma si tratta di soli ottanta metri.
Superata la fascia strapiombante non mi sarebbe proprio dispiaciuto essere in cima e invece ci aspettano altri duecento metri di pericolosissimi sfasciumi.
Avvolti dalle nubi, alla ricerca di una cima ma soprattutto di un sentierino di ritorno.
Dopo un po’ mi accorgo di avere pure sbagliato strada: pensavo di essere arrivato, ma un baratro è davanti a me.
Poi qualcuno urla che è arrivato. Sei sicuro?
Si, non c’è più nulla da salire.
Che strano effetto ritornare a camminare e potersi muovere dove si vuole e non essere legati a quei cinquanta metri di corda.
Sulla cima il tempo di guardarsi attorno e poi via. Nazzareno suggerisce di fermarci a dormire nel bivacco, ipotesi che ci fa inorridire vista la voglia di effettuare un’altra via il giorno successivo.
Una doppia, una discesa in arrampicata fino ad una forcelletta, un traverso su cengia esposta e con neve e poi la risalita al Crozzon Centrale.

Attraversata la cima, un’altra discesa folle ad una forcelletta, risalita di un canalino ghiacciato, passaggi su roccia marcia ed infine si arriva alla terza ed ultima cima del Crozzon.
Cima Tosa, che pure dobbiamo scavalcare è ancora lontana e ci separa una serie di guglie, gugliette, gendarmi e canalini tutti da superare con piede fermo.
Dopo due ore di piacevole arrampicata su rocce friabili e instabili, con i nervi a fior di pelle monto sulla cresta ghiacciata della Tosa.
«Occhio, Massimo, a non scivolare nel Canalone Neri!» dico fra me e me.

La normale del Crozzon non difficile, ma da noi è stata tranquillamente trascurata, in effetti necessita di parecchie attenzioni.

In cima alla Tosa ci rilassiamo guardando il tramonto del sole e tutto acquista un fascino particolare. E poi giù di corsa: roccette, doppia nel camino-canale e poi il buio è totale. Camminiamo in fondovalle aiutandoci con la luna, stupenda, che illumina le pareti circostanti. Ormai i discorsi sono decisamente sconclusionati.
Al Pedrotti una birra gigante e poi, una volta guadagnata la forcella, di corsa nei nevai verso il Brentei.
Alla fine arriviamo alla tendina diciassette ore dopo averla lasciata. Nel silenzio della notte, seduto su un masso, guardo distrattamente la sagoma del Crozzon.
Noi l’abbiamo salito con i nostri vestiti scanzonati e con le nostre allegre risate.

Il desiderio trasgressivo di arrampicare con vestiti stracciati è dimostrare che conta l’uomo e non l’abbigliamento, ma ciò si mescola anche con la volontà di rompere decisamente con il tradizionale abbigliamento, un pò stereotipato, di montagna.

PERCHE’ RIPOSARSI?
Il giorno dopo, non paghi di tutto questo, Marco ed io decidiamo di arrampicare. Ancora.

Ci alziamo, svogliati e tardi, mangiamo lentamente un panino, due … per farla breve, quattro panini a testa intervallati da caffè, the e latte.
Tutto questo dovrebbe bastare per la Fehrmann al Campanile Basso: uno splendido diedro nel monolite più singolare delle Dolomiti.
Decidiamo di festeggiare portando un pesante e scomodo coccomero in cima. Ma oltre che mangiare l’anguria, sulla cima, si vuole immolare anche le mie vecchie scarpette Mariacher che ormai hanno vissuto anche troppo.
Saliamo lungo il classicissimo diedro Fehrmann che ritrovo ancora una volta non piacevole malgrado le splendide descrizioni delle topo-guide – “pietra miliare dell’alpinismo dolomitico”…, “arrampicata che non può mancare nel vostro carnet”… –
Subito dopo lo zoccolo troviamo una scintillante corda fissa. Nella nebbia urliamo per ritrovare il proprietario e, in assenza di riscontri, nel giro di cinque minuti finisce nel mio zaino assieme al mitico cocomero.
Su un altro diedro troviamo una seconda corda, che scherzando e ridendo, tanto salgo da secondo, finisce, pure questa, in saccoccia assieme all’altra.

Per farla breve arrivo sullo Stradone Provinciale impennato dal peso del cocomero e di ben quattro corde nuove, nuove. Saliamo in cima, compiamo i nostri riti sacrificali con le vecchie scarpette, tagliamo il cocomero e ne distribuiamo alle tante persone che arrivano in cima e poi, allegri più del solito, cominciamo a scendere. Sempre avvolti nella nebbia umida con un solo maglione in due.
Intuiamo un urlo disperso nel vuoto, un’invocazione di aiuto. Qualcuno, disperato, non riesce a scendere dallo Stradone Provinciale, qualcuno non ritrova i propri ancoraggi.
Qualcuno ha forse rimosso delle corde fisse?
Frammenti di imprecazioni echeggiano nell’aria pura delle Dolomiti.
Ah, ecco, quelle corde avevano dei proprietari che si stavano inventando una via nuova… ecco risolto l’arcano mistero!
Questi scalatori, milanesi, stavano aprendo una via nuova e utilizzavano il diedro Fehrmann, attrezzato con corde fisse, come se fosse stato un’impalcatura!
Finiamo per scendere tutti assieme – noi ed i milanesi – e per riderne a crepapelle.
Stasera si ritorna a casa!
Mesti, mesti, smontiamo l’accampamento, ci carichiamo gli zaini e giù a Vallesinella dove, per l’ennesima volta, è calato il buio.
Il viaggio di notte, la fatica di stare svegli coincide con la difficoltà di trovare argomenti interessanti: inevitabilmente si finisce parlando di ragazze.
Poi a Malcesine la cinquecento si blocca, ma non ci importa più.

_____
foto:
1. Nazzareno sdraiato e Massimo con la Cima Tosa sullo sfondo.

2. Nazzareno sdraiato e Massimo con la Cima Tosa sullo sfondo / Massimo a sinistra e Marco a destra.
3. Nazzareno e Massimo 35 anni dopo.

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Questa storia partecipa al Blogger Contest 2020.

Massimo Bursi

Massimo Bursi

40 anni di arrampicate prevalentemente in Dolomite! Ora amo le vie lunghe e selvagge dove è naturalmente praticato il distanziamento sociale. Mi piace scribacchiare circa le mie avventure!


Il mio blog | Il mio blog di riferimento è altitudini che ospita diversi miei contributi. Poi ho anche un piccolo sito https://flashdialpinismo.wordpress.com/ dedicato al mio libro pubblicato qualche anno fa.
Link al blog

2 commenti:

  1. Elena Andri ha detto:

    Che storia! Avvincente e scanzonatoria!
    Elena

  2. Fiorenzo ha detto:

    Belle le storie di gioventù dove la follia è l’altra faccia della passione. Ricordare fa bene al cuore

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