Un attimo prima era chiedermi se indossare un paio di pantaloni molto più grandi di me mi avrebbe fatto sentire ridicola, quello dopo era per controllarmi le pulsazioni.
Mi serviva una scusa per rimangiarmi un impegno preso, non ero pronta per mettere piede in una palestra d’arrampicata. Avevo già le mie paure nei confronti della vita, perché aggiungerne delle altre? Ma volevo scappare dalla mia mente e avevo bisogno di un luogo, di un movimento che mi permettesse di farlo, qualcosa di nuovo che avesse il sapore di me che finalmente riuscivo a sorridere dopo anni passati chiusa nella mia camera, divorata dalla depressione, dall’ansia, dall’agorafobia.
Fin da piccola, fuggire per la mia famiglia significa caricare in macchina i bagagli e muoversi verso nord, verso le terre alte dolomitiche. Cambiava il volto di ognuno di noi, si rilassava e, se ci avvicinavamo abbastanza, ci potevamo anche sentire respirare profondamente. Era un lusso che non ho mai dato per scontato e che mi ha sempre rimesso al mondo. Era inevitabile che mi servisse un luogo che mi potesse aiutare ad arrivare più in alto in quei luoghi di cui sapevo tutto, anche le leggende dietro i loro nomi.
Quella sera ho scoperto che un posto c’era, si trova in via dei Romagnoli 245, vicino ad un grande magazzino, lì dove non ti aspetteresti di trovarci pareti, prese e persone con una passione in comune, ma solo altri scaffali. Time To Climb spezzava l’ordine monotono della periferia romana e quella specie di maledizione che avevo con il sentire il mio corpo. Ho cominciato dalle piccole cose, dalle prime scarpette alle prime prese, dai sorrisi sconosciuti e dai nuovi volti che mi circondavano, dalle prime lacrime alle prime vittorie, dal primo otto e dalla prima volta su roccia e la salita che avevo davanti si è trasformata in un bel sentiero pianeggiante.