Vieni a vivere a Luserna, semplicemente, senza promesse, senza illusioni, vieni a vivere qui attorno ai 1400 metri, abbiamo quattro mura e un tetto da darti senza pagare l’affitto e null’altro, il resto lo devi trovare da te, fuori e dentro di te. (¹)
Vieni a vivere a Luserna e poi abbiamo incrociato le dita, ci sono quattro alloggi, se arrivano cinque domande, ce l’abbiamo fatta. Le domande alla fine sono state trentotto, gli ammessi al progetto ventitré.
E poi di corsa, da lasciare basiti quelli che pensano che l’ente pubblico ci metterà degli anni per arrivare al dunque, così di corsa che la prima famiglia è già qui davanti a me, sono in quattro e i loro anni, sommati, non arrivano a fare i miei, neppure sessant’anni in quattro.
Denise e Nicola, lei lo chiama il mio compagno e mi scruta per capire se la mancanza di certificati possa in qualche modo creare ostacoli all’ultimo momento, la tranquillizzo per noi il nucleo familiare è quello che prenderà la residenza qui, non chiediamo altro, il bando era chiaro. Denise con la sua bambina di due mesi e l’altra di un anno attaccata alla giacca e Nicola che fa l’operaio. Sarebbe facile dire che Nicola ha le mani da operaio, che ha il volto, gli occhi da operaio, ma non è così, gli operai nell’anno del Signore 2020 si confondono. Però, Nicola, se non ha la faccia e le mani da operaio, ha pensieri da operaio, quelli non si potranno mai confondere: «Fino a due anni fa ti avrei detto che ero in una botte di ferro, la nostra fabbrica esportava in tutto il mondo, poi l’hanno comprata gli americani e quelli vogliono solo fare schei e già si parla di ridusion del personal», lo dice così con la cadenza dell’alto vicentino.
Non sa Nicola, nato al crepuscolo del secondo millennio, di aver usato le parole di una vecchia canzone operaia, una di quelle nate davanti agli stabilimenti occupati, una vecchia canzone cantata da Gualtiero Bertelli: “Da trenta giorni semo de bando, par ridusion del personal”.
Non sa Nicola di quegli anni settanta del ’900 di pane duro, difficili da sopportare, ma pieni di vigore e vite come altri forse mai, non sa, ma i pensieri di un operaio sono ancora gli stessi di allora e io so bene cosa pensa un operaio e accolgo di buon grado su di me la diffidenza antica di chi lavora con le mani nei confronti di chi siede dietro una scrivania. Potrei dire loro che sono stato operaio per venticinque anni, che sono e rimarrò per sempre un operaio, ma mi tradisce la camicia bianca e loro non capirebbero il mio disagio nel portarla.