«Fermi, fermi!»
Fingendo di non averlo riconosciuto tirai anch’io, colpendolo a una coscia e sul braccio che muoveva veloce per proteggere il corpo dai proiettili di pietra.
Raccogliemmo degli altri sassi e ci avvicinammo al falso fantasma. Dalla cappella venivano risate sguaiate trattenute a stento. Erasmo seduto in terra si lamentava massaggiandosi la coscia e il torace.
«La prossima volta lo fate voi il fantasma» mugugnò trattenendo le lacrime.
«Smettila di frignare» disse Giuliano ridendo e uscendo dalla cappella, «che non ti ha obbligato nessuno».
«Anzi, ti sei anche offerto volontario» aggiunse Fausto pulendo la maglietta dalla cenere usata per truccare Erasmo.
Giuliano si avvicinò a noi. Mosse le dita intorno al viso atteggiato in una smorfia paurosa e ringhiò: «Benvenuti nel cimitero dei mostri e dei fantasmi. Benvenuti nella notte della paura!» Rise e la sigaretta che aveva nella mano destra, mossa nell’aria, tracciava scie di brace.
«L’ultimo che arriva al Monumento ai Caduti è una femmina!» gridò correndo via.
Ci dividemmo e correvamo fra i viali e saltavamo sopra i tumuli e le tombe per non calpestarle e ci nascondevamo dietro le lapidi aspettando che passasse qualcuno per sbucare fuori saltando e urlando. Era veramente la notte dei mostri e dei fantasmi e della paura. Soprattutto era la nostra notte.
Il Monumento ai Caduti di guerra era nella parte alta del cimitero e dal suo basamento di pietra grigia si dominavano tutto.
Ritardati dagli agguati e dagli inseguimenti, giungemmo tutti nello stesso momento. La discussione per chi fosse arrivato ultimo e meritasse l’appellativo di femmina ci impegnò per qualche minuto e si concluse solamente quando Fausto, dopo essersi diretto verso la parte posteriore del mausoleo, ritornò con un sacchetto in mano da cui estrasse una bottiglia di vermouth.
Eravamo seduti sul bordo del basamento. Fausto, Erasmo e Giuliano bevevano il Riccadonna scherzando e a grandi sorsi. Quando ci passarono la bottiglia pensai ai miei genitori che mi consentivano di bere solamente un dito di vino rosso durante il pranzo della domenica. Fabrizio tentennò e anche il suo primo sorso fu breve. Quando la bottiglia ritornò, il liquore ci riempì la bocca, ma i sorsi furono così esagerati che traboccarono le labbra e scesero a bagnare il mento.
«Vorrei fare un brindisi» disse Giuliano prendendo la bottiglia e alzandola, «a zì Giotto e alla sua cirrosi».
Diede un lungo sorso.
«A zì Giotto che ci regalava sempre le sigarette» aggiunse Fausto.
Il boccione da due litri finì presto e l’alcool dopo averci resi allegri, regalava ora lo stordimento.
Eravamo sdraiati e guardavamo le stelle.
«Quante sono» disse Fabrizio, «sembrano di più delle altre sere».
«E’ che sei ubriaco e ne vedi il doppio» disse Giuliano.
L’eco delle nostre risate scivolò fra lapidi e cappelle e il cimitero non era più un luogo triste. Sembrava invece pervaso da una sottile magia, trasformato in qualcosa di diverso.
Tutto era come sempre stato eppure sembrava differente.
Erasmo fece scattare l’accendino e iniziò a scaldare una briciola marrone che aveva nel palmo. Giuliano ruppe una sigaretta, sbriciolò con le dita il tabacco e lo distribuì uniformemente in un piccolo rettangolo di carta. La particella marrone venne frantumata e mescolata al tabacco. Giuliano arrotolò il rettangolo di carta, lo accese e cominciò ad aspirarne il fumo. Il cilindro bruciava lentamente spargendo per l’aria un odore dolce che ricordava quello dell’incenso. Mi tornò in mente il giorno della Prima Comunione, la chiesa affollata e il parroco e gli stuoli infiniti di chierichetti e l’atmosfera di attesa fra i bambini nelle prime file dei banchi.
Fabrizio ed io non avevamo mai provato a fumare. Il fumo caldo bruciò in gola e nel naso facendoci tossire.
Ridemmo e per far durare di più il fumo, dopo ogni tirata, lo soffiavamo nella bottiglia vuota del vermouth che chiudevamo subito con il pollice. Riuscimmo a fumare per altri due giri respirando dalla bottiglia.
Si parlò di ragazze, di Fiorella la bella pisella e di Arianna tutta panna. Fabrizio e io ascoltavamo estasiati, con la bocca aperta e la mente stordita e confusa dall’alcool e dal fumo.
Ci riprendemmo solamente quando il vento ci schiaffeggiò in viso. Seduti sul sellino posteriore dei motorini di Fausto e Giuliano, andavamo verso la foschia, in basso, alla ricerca di nuovi divertimenti. Nella nebbia che si avvicinava i nostri cuori erano scuri.
Quella mattina eravamo scesi dalla montagna correndo e giocando. Ora eravamo invece lanciati verso la pianura. I progetti di avventure sul Monte dei Due Corni sembravano distanti e nascosti già nelle pieghe di una memoria lontana.
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foto:
1. La montagna dei Due Corni era lì.
2. Dal grosso masso che costituiva la vetta lo sguardo spaziava sull’orizzonte.
3. Nella nebbia che si avvicinava i nostri cuori erano scuri.