Il passo è buono, raggiungiamo un tornante esposto sulla valle, in lontananza si vedono le luci arancioni dell’ultimo paesino che abbiamo attraversato, sono le nove e non si vedono auto in movimento, a quest’ora in questi piccoli agglomerati di montagna sono tutti chiusi nel tepore della casa. Arriviamo ad un bivio, la strada continua diritta ma noi dobbiamo prendere un sentiero che si dirama a destra. Siamo nel bosco fitto e qui la neve non ha un grande strato, ogni tanto gli sci strisciano su qualche sasso e, di questo, le pelli non sono contente. Dopo un paio d’ore finalmente ha smesso di nevicare e si esce dal bosco. Questo ci permette di abbandonare il sentiero che compie un largo giro verso destra e di inerpicarci a zig zag nel prato. Dietro una cima appare come un regalo una bella mezza luna che ci permette, grazie alla sua luminosità ed al riverbero della neve, di spegnere le frontali. Nonostante la poca luce chi mi precede proietta un’incredibile ombra sul manto bianco e mi sovviene la canzone “tintarella di luna“. Ne approfittiamo per una piccola sosta, togliamo gli zaini, beviamo del thè caldo dal thermos e mangiamo due biscotti.
Appoggiare a terra gli zaini ci crea una piacevole sensazione, sono abbastanza pesanti, abbiamo stipato tutta l’attrezzatura tecnica, un paio di ricambi intimi, il necessario per le notti e le vettovaglie per i tre giorni. Continuiamo a salire, il pendio è ripido ma la neve tiene bene, non si forma lo zoccolo sotto le pelli e si sale abbastanza spediti. Guardo l’orologio, è ormai mezzanotte e sono quattro ore che camminiamo, secondo la nostra stima dovremmo essere arrivati alla baita. Invece siamo in ritardo, ce lo dimostra il fatto di non avere ancora raggiunto una punta dove gli alpini hanno installato un crocefisso coperto da una piccola tettoia, avremo sbagliato strada? Il posto lo conosciamo, ci siamo già saliti altre volte, ma mai di notte.
D’estate dal crocifisso il pendio spiana leggermente e ci vuole ancora una mezz’ora per arrivare alla casetta. Uno di noi si stacca e sale perpendicolare sul pendio per riuscire ad allargare lo sguardo , noi rimaniamo attoniti ed aspettiamo l’esito della sua esplorazione. Dopo poco ci urla che è tutto ok, vede il crocifisso proprio sopra di noi, molto bene, rincuorati partiamo ancora più speditamente e rapidamente lo raggiungiamo.
Qui si apre un piccolo altopiano ondulato punteggiato da pini cembri e larici ma abbiamo una sorpresa: ci sono delle nuvole basse appoggiate sul pianoro e la visibilità in un attimo diventa quasi nulla. Si crea una situazione incredibile ma molto affascinante, tutto è ancora più ovattato, l’effetto whiteout ci disorienta e non si capisce più dove stiamo andando, non ci sono più riferimenti ed il fatto di essere su un falsopiano ci confonde ulteriormente. Decidiamo di fermarci per vedere se il fenomeno è passeggero, passano alcuni minuti ma non cambia nulla. Iniziamo a spazientirci, il disagio aumenta, la poesia svanisce, ci girano le …..
Abituati come siamo ad avere supporto tecnologico per tutto rimpiangiamo di non aver scaricato la traccia gps, ma forse è meglio così, abbiamo voluto l’avventura? Al giorno d’oggi tutte queste conoscenze ed aiuti ci fanno sembrare onnipotenti, ma poi quando ti capitano certe cose capisci che non è assolutamente vero! C’è una parvenza di luce che luce non è e che fa quasi male agli occhi, a volte sembra che tutto si schiarisca ma invece nulla cambia, saranno ormai passati dieci minuti che sembrano un’eternità, ci viene voglia di muoverci ma dove andiamo? Pericoli non ce ne dovrebbero essere ma la sensazione di muoversi alla cieca mette molto a disagio. Mi viene quasi voglia di urlare solo per cercare di rompere questa bambagia che ci avvolge. Ci vorremmo muovere ma ci rendiamo conto che ci potremmo perdere, sembra ridicolo ma sarebbe necessario mettersi in cordata per rimanere uniti ma la corda non l’abbiamo.