che esce, finalmente pubblicato, nelle librerie, finalmente aperte, proprio in questi opalescenti giorni di maggio, con una delle due citazione che l’autore ha voluto in apertura al suo romanzo:
Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore permangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare – loro, goccioline quasi impalpabili – l’immenso edificio del ricordo.
Beh, c’è un piccolo imbroglio che, spero Enrico mi perdonerà, la citazione è completa, riporta, a differenza di quella da lui scelta, anche la chiusura, quella dell’immenso edificio del ricordo che si regge sugli odori e i sapori. Odori e sapori che saranno la chiave di questo romanzo.
Citazione proustiana che ben si accoppia con quella dell’accademico novantenne Eugenio Borgna, un medico che è cresciuto leggendo Leopardi ed Hölderlin, psichiatra che ha combattuto l’elettroshock con l’ascolto e il dialogo e che, insieme, ma non lo sappiamo ancora, ci dicono già tutto sulla storia che sarà raccontata nelle quasi trecento pagine successive.
In fondo, ma sarebbe ingiusto dirlo, il romanzo di Enrico Camanni sta tutto qua dentro. E non è poco perché la memoria ci è compagna da sempre e da sempre si fa beffe di noi.
E’ una storia dei nostri tempi
Una coperta di neve, è l’autore stesso che ce lo dice, è una storia dei nostri tempi. Forse l’ultima che non ha, nei ritmi della scrittura e nelle riflessioni dei personaggi, il seme del sopravvissuto all’oscena giostra dei numeri che da mesi ci accompagna. E già questo, da solo, basterebbe a metterlo tra i ripiani comodi della nostra libreria. Infatti non è un libro fuori dal tempo e, anche se i protagonisti sono frutto della fantasia di Enrico, intercetta temi impellenti del nostro quotidiano. Da quelli che riguardano tutti come il riscaldamento globale a quelli molto più personali che dicono del dolore e dell’amore.
Settembrini si accomodò sulla panca osservando lo scivolo bianco del Gran Paradiso. Notò che il seracco era quasi scomparso e qua e là, sotto il ghiaccio e la neve primaverile, affioravano brandelli di roccia. Anche quella era una conseguenza del riscaldamento globale. Si chiese se si potesse ancora chiamare Paradiso una montagna di sfasciumi[1].
Premessa tardiva: ci sono troppi libri gialli, parafrasando Lello Arena si potrebbe dire che “anche leggendone uno al giorno non si starebbe al passo ché ne pubblicano, ogni dì, altri tre”. E, dopo Dürrenmatt, ritengo che il giallo non abbia più nulla da dire. Nonostante la lunga teoria di titoli che ci arrivano dal nord che sta più a nord. Ma Enrico è una persona che conosco da anni e così ho avuto il privilegio di leggere il suo nuovo libro. Un giallo. Forse. Un noir. Forse. Per me Una coperta di neve è un eccellente racconto che accompagna Nanni Settembrini, Martina Argenta, Angelica Senoner in un viaggio À la recherche di un nuovo sè dentro un mondo sempre più confuso e sempre più disumano. E il vecchio Proust cerca a fatica di farci da guida.