Dal valico che separa le ridotte rocce del Peronat dalle svettanti cime del Ciastelin, saliamo per facili rocce verso il confine tra la terra e il cielo seguendo un canale superficiale e sassoso. Al termine del condotto ci accoglie un pascolo alpino limitato a meridione da una parete verticale. Saliamo verso l’alto in una zona più sicura, seguendo alcune strisce sassose che ci indirizzano verso il termine della costa erbosa.
Saliamo con calma fino a quando appare l’orizzonte sopra la Val d’Ansiei. La vista sulle cime principali delle Marmarole centrali è rivelatrice. Lontano, ma neanche tanto, in direzione nord, i profili delle Dolomiti di Sesto marcano la differenza rispetto alle nostre meno celebri Dolomiti. I candidi scogli delle Marmarole sembrano periferia dimenticata.
Celio Da Deppo Bianchi, nato a Deppo nel 1889
Sul pascolo esposto sul mondo, Pol mi racconta di un pastore che aveva passato la vita su questi magri pascoli, una ricchezza da conquistare giorno per giorno, erba dopo erba. Il suo nome era Celio e per riconoscerlo dalle altre famiglie Da Deppo, gli era stato aggiunto al cognome Bianchi.
Celio Da Deppo Bianchi era nato nel 1889 a Deppo e per tutta la vita era vissuto tra quelle quattro case sulla montagna alle spalle di Domegge.
Nato dopo l’Unità d’Italia aveva sorriso quando i giornali riportarono dell’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, e a sua moglie Sofia. La semplicità e la solitudine della vita tra i monti aiutano in questi casi. Sorrise, non per scherno ma perché da tempo aveva visto i soldati costruire strade da Lozzo ai colli del Pian dei Buoi, da Piniè al Tudaio. Nessuno lo avrebbe mai convinto che la guerra in arrivo fosse nata da due colpi di pistola.
Non fu chiamato in prima linea e neanche nelle retrovie, la guerra non si interessò a lui e poté continuare a sorvegliare capre e vacche. Non fu una disattenzione o un favore che gli fece il Regio Esercito, ma venne dispensato perché si era rovinato la schiena cadendo dal ramo più alto di un melo e da allora camminava a fatica. Come tutti i ragazzini anche Celio era stato un bambino vivace con tanta voglia di correre e giocare e, a quei tempi, nessuno aveva dato importanza al dolore che accusava alla schiena, a volte così forte da farlo piangere. All’ospedale andava chi stava molto male e i suoi genitori pensarono che prima o poi quel dolore gli sarebbe passato.
La sfortuna che lo condannò ad essere “inidoneo per il Re e anche per la Regina”, fu la sua salvezza da una probabile morte in guerra (con sepoltura in una trincea tra i topi) ma, essendo scapolo, lo vincolò all’obbedienza ed alla disciplina della sorella.