In quelle poche ore molti boschi che erano cresciuti in equilibrio ed armonia con l’ambiente attorno, come avevano loro insegnato milioni di anni di evoluzione, erano caduti, attraversati da una violenza sconosciuta a cui non avevano saputo resistere.
Poi era tornato l’inverno e la neve era caduta, bianca e soffice, a coprire come un sudario quelle distese di alberi morti e feriti, come se quella soffice coltre potesse in qualche modo rendere meno greve il loro destino. La primavera era trascorsa senza farsi sentire, con un maggio freddo e piovoso, e l’estate aveva restituito a chi passava per quelle valli un paesaggio stravolto e desolante, mentre nei boschi distrutti iniziava l’opera di recupero del legname caduto, con motoseghe, cingolati, camion, ruspe, hardvester.
Di nuovo le foglie dei larici erano ingiallite, di nuovo le piogge autunnali erano arrivate, ed anche la neve, questa volta molto in anticipo. Fu allora, dopo la nevicata di novembre, che aveva improvvisamente coperto di bianco silenzio ogni cosa, che il vecchissimo genio degli alberi parlò. Non disse molto, ma raccontò ai suoi fratelli quello che sapeva, di come il mondo stava cambiando, di come l’uomo aveva modificato il clima del pianeta, e ancora di come bisognava prepararsi: sarebbe successo ancora, e in tempi troppo veloci per il ritmo lento e armonioso che aveva da sempre contraddistinto il tempo degli alberi. Tutti lo ascoltarono sorpresi e a qualcuno venne da piangere qualche goccia di resina, vedendo che la situazione era davvero brutta… forse non c’era più nulla da fare?
«Solo loro, gli uomini, possono fare qualcosa» disse il vecchissimo genio, aprendo il suo occhio che sapeva scrutare nel passato e nel presente, «ma non capiscono, non vogliono capire. Accecati dalla loro sete di potere hanno dimenticato la cosa più importante, che i loro piedi camminano su questa stessa Terra dove noi affondiamo le nostre radici. Solo se ritroveranno il loro cuore di albero forse potranno ancora salvarsi.»
«Radici? ma non vedi come sono le nostre? Divelte od ormai morte con tutte le loro parti più fragili all’aria: un mondo sottosopra, un altro mondo. E che ne sarà dei vermi, degli insetti dei funghi che abitavano quel terreno? E loro, i “tuoi” uomini, pensano che l’intero ecosistema del bosco si possa ricostruire così, come fanno con le loro strade e le loro case» fece eco un altro genio piuttosto accigliato, guardando attorno con il suo grande occhio.