Racconto

SOLITUDINI E FANTASMI SUL SABUCINA

A cavallo tra le provincie di Enna e Caltanissetta c'è uno dei maggiori polmoni verdi del centro della Sicilia. Dal fondovalle pianeggiante del fiume Salso, emergono i rilievi dei monti Sabucina e Capodarso. Luoghi carichi di storia e di una natura preziosa.

testo e foto di Gerlando Lo Cicero  / Palermo

25/04/2021
5 min
Arriva il momento in cui poggio lo zaino e la mia salita ha termine.

Una vecchia croce di legno sulla vetta mi indica che sono arrivato al punto più alto, la meta fisica. Ma insieme mi rammenta che ancora oltre vi è l’insondabile del mio essere a cui non voglio e non posso dare una risposta.
Sono salito su altre vette e sempre il mio essere uomo prende il respiro dalla percezione dell’infinito, finché arriva il momento di riprendere lo zaino, carico di momenti intensi vissuti tra le solitudini delle vette.
Solitudini che mi raccontano la mia vita e che mi spingeranno a salire su altre vette per sentirmi ancora e comunque vivo. Anche se a volte piango.
Come quella volta in cui il fiume era la musica che accompagnava la mia solitudine, cercando di ingannarla.
Sarà solo un momento, poi smette, mi ero detto. Ma qui non smette, piove da quando sono partito.

Sto camminando sotto la pioggia, battono forte le gocce sui miei vestiti, sulla terra. Gocce che riempiono ancora di più quel fiume e vanno via con esso. Tutto si muove, qui.
L’acqua del fiume. Si muovono le foglie degli alberi, prigioniere del vento che respira. Si muovono le pietre, le sento vibrare e scricchiolare sotto il peso delle mie scarpe.
Cammino vicino la sponda del fiume Salso, ogni tanto salto con cautela qualche masso, oggi si scivola per questa pioggia che ha reso tutto cosi insicuro, ovunque metto i piedi.
Devo raggiungere la vecchia casa della Pistacchiera che dall’alto domina il fiume, un casolare ormai divenuto un ammasso di pietre antiche, stanche del tempo e di sentirsi dimenticate dall’uomo.
Proverò a trovar riparo tra quei muri semi diroccati.
Soltanto loro pare non si muovano. Sono lì fermi chissà da quanti anni. Probabilmente oltre un secolo.

Sopra la casa il monte Sabucina (706 m) ha un aspetto tetro. Le nuvole lo coprono, il vento lo scuote. Di fronte vi è il Monte Capodarso (795 m) e lui ha invece un aspetto migliore, più largo e più aperto, seppure anch’esso è dentro questo scenario di pioggia e freddo.
Forse oggi era meglio che salissi sul Capodarso, se proprio volevo camminare in montagna sotto questi cieli di pioggia.
Così, a un certo punto, mi allontano dal fiume e comincio a risalire le facili pendici che più in alto diventano pareti verticali di roccia giallastra e rossa, friabile, cattiva amica di chi vi si vuole avventurare.
Quelle sono le rocce che formano il lungo crinale di Monte Sabucina.
Vi è un passaggio, tra le pareti di roccia, da arrampicare, come una ferita che penetra la verticalità di quelle pareti.
Salirò da lì, sperando non mi crolli alcun masso addosso, spostato dal battere della pioggia.

Raggiungo la vecchia casa, tolgo lo zaino e mi appoggio al primo muro che ho vicino. Gli regalo un attimo della mia compagnia. Ma lui, il muro, non contraccambia la mia cortesia e non mi offre alcun riparo dalla pioggia.
Fa lo stesso, è comunque un punto fermo in questa mia escursione senza senso.
Resto in silenzio, tento di sentire i pensieri di questo vecchio muro di pietra, ma non sento nulla. O forse sì, qualcosa sento: sono i fantasmi del mio futuro che mi danzano dentro, dando irrequietezza alla mia anima.
Oggi camminare in montagna, da solo, mi piace poco, anzi non mi sta piacendo affatto.
Forse è meglio che mi affretti, ora voglio tornare a casa prima che i miei fantasmi facciano ancora più baccano.
Mi incammino più veloce di prima, adesso meno curante dell’appoggio precario delle mie scarpe su questo terreno fradicio di pioggia.
Ho fretta di andarmene via da questo luogo. Probabilmente ho solo voglia di scappare via dai miei pensieri; non lo so, ma oggi avverto davvero qualcosa che non mi piace.

Tornerò in questo luogo in una giornata di sole, senza i miei fantasmi.
Sono arrivato sotto le rocce gialle. Punto verso la ferita che permette di salire e imbrogliare quelle pareti verticali che non vorrebbero lasciarmi passare.
Ci entro dentro, i passi di arrampicata necessari per scalare quella stretta fenditura sono resi viscidi dalle rocce bagnate. Gli appoggi per i piedi sono delle larghe scaglie di roccia giallastra, sovrapposte obliquamente una sopra l’altra. La mia preoccupazione, arrampicando lungo questa fessura, sono queste scaglie che possano cedere sotto il mio peso. Cerco di capirne la consistenza meglio che posso, con la pioggia che mi bagna gli occhi e mi confonde anche le idee.
Per le mani ho maniglioni di roccia ben marcati, li batto col palmo, uno per uno, prima di aggrapparmi. Con fatica esco da questa assurda arrampicata e sono sulla cresta.

Provo ad affacciarmi di sotto, verso la valle del fiume Salso. Guardo da dove sono salito, quelle rocce gialle così friabili. A volte mi chiedo perché faccio certe cose.
Intanto il tempo è passato, scorrendo via. Un tempo che scorre via come quel fiume lì in fondo alla vallata, facendo rumore dentro e fuori di me.
Inizio la discesa, verso la mia auto.
Continuo a sentire rumore, mi concentro su quello esterno delle foglie mosse dal vento e della pioggia che batte sulle rocce, cerco di esorcizzare il rumore che ho dentro, che mi fa paura.
E mentre scendo, sento ora gli occhi pesanti. Qualcosa bagna il mio viso. Non è più solo pioggia.

Gerlando Lo Cicero

Gerlando Lo Cicero

Mi chiamo Gerlando, ma da sempre per gli amici sono Gerri. Sono nato a Palermo, dove ancora vivo. Città di mare, ma anche di montagna. Appena quindicenne sono diventato socio Cai e da allora non ho mai smesso di far montagna, spaziando dalle montagne siciliane al Gran Sasso e alle Dolomiti, salendo alcune vie classiche che segnarono la storia dell'alpinismo dolomitico. Ho scalato anche numerosi 4 mila delle Alpi Occidentali che mi portarono ad appassionarmi anche all'alpinismo su neve e ghiaccio. Vennero poi gli anni della speleologia, sempre in seno al Cai. Oggi mi dedico soprattutto l'escursionismo, anche di un certo impegno.


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