Reportage

Magico Lost in Prealps

Il racconto della prima edizione di Lost in Prealps: un trail di 200 km nelle Prealpi Trevigiane, duro, intenso e magico.

testo di Eric Scaggiante, foto di Lost in Prealps

21/07/2018
4 min

Lost in Prealps è un trail che mi ha stupito per diverse ragioni, un percorso del tutto inaspettato, al di sopra delle aspettative dal primo all’ultimo chilometro. Tutto inizia qualche ora prima di andare a dormire.

E’ venerdì sera quando scarico la traccia gpx, la guardo con superficialità qualche minuto per poi caricarla al sicuro nel mio amato Garmin eTrex, preparo la borsa da bike packing inserendo i soliti vestiti da freddo, le batterie caricate, quattro panini al latte con miele, noci e bresaola, quanto basta per stare sereno ed uscire con qualche amico a fare serata.
Obbiettivi per il giorno dopo? Nessuno. Niente tabelle di marcia, grafici altimetrici stampati sulla pipa, niente stime di arrivo, in giri come questo “meno so più me la godo”, deve essere un’avventura e una scoperta ad ogni chilometro. “Cazzo, chi sa se spiana dopo questa”, poi giri l’angolo e ti vedi l’Adriatico e l’orizzonte che segue la curvatura della terra, o alla peggio una mulattiera che tira al 25%… migliaia di pensieri prima di appoggiare la testa sul cuscino e crollare nel sonno più profondo.

Un caffè al volo e parto subito

E’ sabato, carico le borse sulla mia Cannondale CAADX e arrivo puntuale alle 8 da Ocioo. Tempo di scambiare qualche opinione con gli altri partecipanti, un caffè al volo e parto subito. Pochi chilometri di bitume mi accompagnano all’imbocco del sentiero degli Ezzelini e poi su, una smorzata alla gambe fino alla Madonna del Covolo ad imboccare il sentiero 105, da molto tempo nella lista delle cose da fare: tosto, tecnico, di quelli che obbligano a tenere le mani fisse sui comandi e gli occhi piantati sul fondo, cercando la via migliore tra i sassi, in equilibrio sul bordo del sentiero a pochi metri di strapiombo nel bosco e appiccicato alla parete di roccia.
Salgo accarezzato dai rami degli alberi, su a suon di mezze pedalate nei tornanti e piccoli sprint per superare i tratti più insidiosi e arrivo in men che non si dica al rifugio Ardosetta. La mulattiera 105 è di certo il preambolo del restante trail che mi aspetta.
Arriva finalmente la discesa e mi butto a tutta dal Monte Grappa al Pian delle Mure, poi su al Salto della Capra e giù per il versante nord verso Alano di Piave passando per il ponte di Fener fino a San Vito di Valdobbiadene dove mangio in corsa il primo paninetto gourmet della giornata. Mi inoltro in un istante dentro i serpentoni di cemento che si snodano su fino al Monte Cesen. Tengo il gas a martello e mi sembra di volare come i motori delle auto da rally che sento sfrecciare tra prove speciali qualche centinaia di metri sotto di me (nulla a che vedere con il Gruppo B di una Delta S4, di una 037, o dell’Audi 4) e poi via giù nel bosco verso Posa Puner, un bosco selvaggio, tosto e cattivo, tanto da obbligarmi a un po’ di portage. La scena e le invocazioni non sono tanto eleganti quanto la parola stessa, a conferma di quanto sia “lost” questo trail. In un tempo che mi è parso una frazione di secondo, passo dal bosco violento ad un prato mansueto con sei caprioli che non si accorgono di me, proprio come io non mi accorgo di una bella “boassa” (escremento di bovino, ndr) che da lì mi sarei portato dietro fino all’arrivo come un amuleto scaccia guai.

DAL MONTE GRAPPA AL CESEN, DAL VISENTIN FINO ALLA FORESTA DEL CANSIGLIO.
200 KM E 6000 M DI DISLIVELLO.

Manuel mi dà il benvenuto

Arrivo dritto a Posa Puner dove a darmi il benvenuto c’è Manuel (ideatore della traccia), mi concedo un caffè latte, una crostata con panna ed un succo al mirtillo, giusto per riprendermi dai primi 85 km. Saluto tutti in fretta e proseguo sulla strada delle malghe fino ad un sentiero molto sconnesso in mezzo al bosco che mi costa circa quaranta minuti di portage per 1 km e mezzo, io a sinistra, la bici a destra, al centro solo pietre ed erosioni, causate sicuramente da un precedente nubifragio, vado avanti così fino ad arrivare a Praderadego dove inizia la seconda lunga picchiata a valle.

Percorro qui qualche chilometro gravel nel bel mezzo di antichi borghetti, cercando di rifiatare mangio il secondo paninetto gourmet prima di risalire il Pian delle Femene. Sulla cima di questo colle scopro il pezzo più emozionante del trail. In lontananza a nord est, vedo il Col Visentin mentre a sud la pianura si estende fino alla costa che lascia a malapena intravedere la laguna di Venezia, sotto le mie ruote pezzi in singletrack, erbe, prati inglesi e luoghi che non sapevo nemmeno esistessero. Rimango senza parole ed entro in uno stato di trans da cui mi risveglio solo all’inizio dell’asfalto e poi ecco il ghiaione con la lunga salita fino al rifugio.
Sono le 20 e 15 e prima di concludere la salita mi fermo qualche minuto. Un alito di vento rompe la quiete, mi distendo su una montagnola di rami, erba e torba secca guardando il cielo azzurro velato da qualche nuvola prima di affrontare gli ultimi tornati che mi separano dalla cena.
Arrivo con calma al rifugio, entro e mi ritrovo lì in compagnia del cuoco, dell’oste, di due ragazzi e due ragazze, due tecnici accampati lì in attesa di mettersi all’opera con la manutenzione dei ripetitori. Ordino pasta al ragù. Sul tavolo un cestino di pane, acqua e una zuccheriera. Mangio il pane guarnito con lo zucchero, come antipasto, poi arriva il mio piatto che divoro in quattro secondi, seguito dal dolce con tanto di panna spray con cui ricopro tutta la fetta, bevo un caffè, ovviamente lungo, scambio due parole con tutti i presenti, bevo al volo una grappa agli agrumi e inizio a vestirmi con gli indumenti invernali.

Attento ai lupi!

“Attento ai lupi!” mi urla la signora mentre riparto a luci spente per godermi il tramonto con le ultime luci sulle Dolomiti. Da qui è tutta discesa, ottima per la digestione, fino al Lago di Santa Croce. Ora arriva l’ultima salita fino al Pian del Cansiglio. Mi sento rinvigorito ma mentalmente stanco, quella spossatezza mentale ideale per salire durante la notte, quella che ti porta in uno stato di semi incoscienza che fa girare più le gambe e meno la testa. La luna non è piena ma abbastanza luminosa per riflettere la mia ombra a terra, sulla cementata chiara che porta all’ingresso della magica strada del Taffrel. La salita è finita e mi risveglio da quello stato di trans, di tanto in tanto vedo una o più coppie di occhi luccicanti tra gli alberi e percepisco un leggero timore misto a curiosità. “In fondo siamo tutti animali, tutti uguali nel profondo”, mi ripeto per tutti quei chilometri che sembrano infiniti, su e giù per la faggeta. Il sentiero zebrato, il bianco del ghiaino e il nero delle foglie per terra, gli alberi grigio scuro su uno sfondo tenebroso… uno spettacolo!

E’ da poco iniziato il nuovo giorno, domenica, è notte fonda e dal sentiero mi ritrovo di nuovo sulla strada verso Passo Crosetta. Davanti a me le luci arancioni della pianura mi fanno percepire il calore della valle che comincia a riaccogliermi. Arrivo a Vittorio Veneto, felice ed orgoglioso, fiero di quelle montagne che da sempre ho desiderato scoprire. Duecento chilometri fatti tutti in un fiato, duri, intensi, ma molto speciali. Un trail magico di quelli che non ti aspetti, un’avventura che resterà nella mia memoria per sempre. Il sudore e il caldo in salita, il freddo in discesa alla sera, gli animali, la natura selvaggia, i paesaggi mozza fiato, i sentieri sperduti in parte cancellati dall’erba e le strade che potrebbero raccontare chissà quali storie. Intanto, questa è la mia. Chissà se in futuro potrebbe essere anche la vostra.


Lost in Prealps e un lungo trail, da percorrere con una mountain bike o con una gravel, che attraversa le Prealpi Trevigiane, dal monte Grappa al Cesen, dal Visentin fino alla foresta del Cansiglio (200 km e 6000 m di dislivello). La prima edizione si è svolta il 23 giugno 2018. Eric Scaggiante detiene ad oggi il record di percorrenza in 17 ore e 40 minuti.
> leggi approfondimento: www.altitudini.it/lost-in-prealps
> info: www.lostinprealps.com

Eric Scaggiante

Eric Scaggiante

“Così giovane” è la frase che mi sento ripetere da quando è cominciata la mia dipendenza dalla bicicletta. Ho cominciato a gironzolare da solo quando avevo appena nove o dieci anni, alla scoperta dei territori del mio comune e poi di quelli limitrofi, in sella al mio “destriero”. Ho voluto spingermi sempre più in là, in cerca di ciò che pochi vedono e vivere ciò che pochi cercano. Mi piace perdermi tra le montagne con ogni tipo di clima, pedalando spesso da solo, ma senza disdegnare la compagnia di impavidi e randagi. Più pedalo e più mi pare che il mondo si faccia sempre più a portata di gambe. E’ una sensazione di assoluta libertà, andare dove si vuole arrivare. I luoghi da visitare sono ancora tanti, perciò non mi resta che pedalare.


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